Tutto quello che c’è da sapere sulla crisi siriana, al centro delle tensioni tra Washington e Mosca

 

Ennesimo momento di stallo nell’ interminabile crisi siriana e mediorientale. «Non possiamo lasciare che atrocità» come quella in Siria «si verifichino»: all’attacco chimico «risponderemo con forza». A dirlo il presidente americano Donald Trump che, tornando a condannare l’ «odioso attacco» contro civili innocenti perpetrato con l’uso di armi chimiche, forse cloro, a Douma, un sobborgo nella Ghouta orientale, dove sabato scorso sono morte quasi 100 persone per probabile soffocamento, non esclude alcuna opzione sulla Siria, compresa quella militare che rimane sul tavolo. «Prenderemo qualche decisione importante nelle prossime 24-48 ore» ha rivelato l’ inquilino della Casa Bianca. Qualora fosse dimostrato – ha incalzato Trump – che la responsabilità sia della «Russia, della Siria, dell’Iran o di tutti e tre insieme», «tutti pagheranno un alto prezzo».

« Molti morti, incluse donne e bambini, nello scriteriato attacco chimico in Siria. L’area dell’atrocità è sotto assedio e completamente circondata dall’esercito siriano, rendendola completamente inaccessibile al mondo esterno. Il presidente Putin, la Russia e l’Iran sono responsabili per il sostegno all’animale Assad» aveva scritto in un tweet Trump. Alla tragedia di sabato, è seguita, ieri, la notizia per cui, almeno 12 militari, tra cui strateghi iraniani, sarebbero periti sotto i raid missilistici compiuti nella notte contro la base aerea T4 Tayfur vicina ad Homs, nella Siria centrale. Questo colpo, di cui forse è da escludere un collegamento con quanto avvenuto a Douma, secondo la Russia e alcuni media arabi tra cui la tv di Stato siriana , sarebbe stato uno dei periodici attacchi condotti dagli F15 israeliani contro basi iraniane e di Hezbollah in Siria. Il raid aereo israeliano, né smentito né confermato dallo Stato Ebraico, «non rimarrà senza risposta» ha promesso Ali Akbar Velayati, un alto funzionario iraniano, in visita in Siria mentre il ministero degli Esteri russo ha invitato l’ambasciatore israeliano, Gary Koren,  per discutere «delle situazioni in Siria e nella striscia di Gaza» e «dei rapporti bilaterali» tra Mosca e Israele.

Gli Stati Uniti e altri otto paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – Gran Bretagna, Francia, Polonia, Olanda, Svezia, Kuwait, Perù e Costa d’Avorio – hanno chiesto una riunione di emergenza dei Quindici sull’attacco chimico in Siria. Riunione nella corso della quale, l’ambasciatore americano presso le Nazioni Unite (Onu), Nikki Haley, ha sostenuto che solo un mostro può prendere di mira civili, assicurandosi che non ci siano ci siano ambulanze che trasportino i feriti o ospedali dove curare i feriti, precisando che «non possiamo trascurare il ruolo della Russia nel proteggere il regime siriano che continua a produrre distruzione».  «La storia registrerà questo momento come quello in cui il Consiglio di sicurezza ha fatto il suo dovere o quello in cui ha dimostrato il suo assoluto e completo fallimento nel proteggere il popolo siriano. Qualunque sia il caso, gli Stati Uniti risponderanno» perché «siamo arrivati al punto in cui il mondo deve veder giustizia fatta» ha chiosato l’ ambasciatore.

Il governo di Damasco si è detto pronto, nel pomeriggio, ad accogliere gli osservatori dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) a Douma affinché facciano luce sul presunto attacco chimico, ma la posizione di Mosca è quella enunciata, stanotte, dal rappresentante permanente russo all’Onu, Vasily Nebenzya: «Uno degli obiettivi del finto (attacco) di sabato a Duma e’ distrarre l’attenzione pubblica dalla commedia sul caso Skripal» evidenziando che Londra «ha scaricato accuse non verificate sulla Russia e raggiunto il suo obiettivo primario: assicurarsi la solidarietà’ degli alleati nella costruzione di un fronte anti-russo».

Dunque la tensione con Mosca non fa che salire. La Russia – ha ribattuto il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov – che i suoi esperti militari non hanno trovato «tracce di cloro o di altre sostanze chimiche usate contro i civili». Il capo della diplomazia russa ha poi  messo in guardia gli Stati Uniti dallo sferrare raid militari in Siria in quanto, «lo sapete, abbiamo degli obblighi nei confronti della Siria e i nostri militari hanno già espresso i loro commenti». Obblighi fondati sul «nostro accordo concluso con il legittimo governo della Repubblica araba siriana su richiesta di questo governo, che è, per inciso, uno stato membro delle Nazioni Unite».

Nel frattempo, Donald Trump ed Emmanuel Macron hanno condannato «fortemente l’orribile attacco con armi chimiche in Siria e hanno concordato che il regime di Assad deve essere chiamato a rispondere per i suoi continui abusi dei diritti umani». Washington e Parigi avrebbero altresì stabilito di «scambiare informazioni sulla natura dell’attacco e di coordinare una forte risposta comune», ribadendo « il desiderio di una forte risposta da parte della comunità internazionale a queste nuove violazioni dei divieti sulle armi chimiche». Proprio oggi, in Parlamento, il premier francese Edouard Philippe è tornato ad esprimere le  «particolari responsabilità» degli alleati del regime siriano nel presunto recente attacco chimico a Duma e ha  detto «l’uso di queste armi dice cose sul regime e la nostra reazione all’uso di queste armi dirà cose su chi siamo» ha detto Philippe in parlamento.

Oltre alla Francia e alla Gran Bretagna, anche la Germania, per bocca di Angela Merkel, durante una conferenza stampa congiunta a Berlino con il presidente ucraino Petro Poroshenko, ha espresso la sua posizione: «Credo che le prove che si sia perpetrato un attacco con armi chimiche siano molto chiare. E’ sconcertante che dopo tante discussioni su scala internazionale e tanti divieti si sia tornati a riutilizzare ancora una volta le armi chimiche. E purtroppo dobbiamo presupporre che sia stato proprio così». «Pagherete un prezzo molto caro. Maledico il responsabile, chiunque sia stato» ha minacciato Erdogan mentre il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha sottolineato come «ogni utilizzo confermato di armi chimiche, non importa da quale parte in conflitto né le circostanze, è aberrante e una flagrante violazione del diritto internazionale. La gravità delle recenti accuse necessita di un’indagine approfondita che si avvalga di competenze imparziali, indipendenti e professionali».

Quale, dunque, potrebbe essere la decisione di Trump? “La risposta, se ci sarà, sarà essenzialmente aeronavale, con bombardamenti. Sarebbe una risposta simile a quella avvenuta l’ anno scorso. Potrebbero venire lanciati dei missili oppure potrebbero essere decisi dei bombardamenti con aerei. E’ altamente probabile una risposta dove l’ equipaggio non è messo in pericolo” osserva l’ Ammiraglio Ferdinando Sanfelice Di Monteforte, docente di Strategia presso l’Università di Trieste e già Rappresentante Militare per l’Italia presso i Comitati Militari NATO e UE.

A confermare tale scenario, vi sarebbe la circostanza, diffusa dal quotidiano turco ‘Hurriyet’, per cui un cacciatorpediniere americano, il Donald Cook, dotato di missili Tomahawk, avrebbe lasciato il  porto cipriota di Larnaca, e avrebbe raggiunto le acque territoriali siriane e, in particolare, il porto di Tartus nei pressi del quale si trova anche l’unica base russa nel Mediterraneo. Secondo la stessa testata turca, suffragando l’ ipotesi di aumento delle ostilità tra Washington e Mosca, in mattinata, mentre l’ imbarcazione statunitense raggiungeva le acque siriane, sarebbe stata sorvolata da alcuni jet russi a bassa quota per quattro volte, mettendo in atto manovre di disturbo. Ma entrambe le notizie non avrebbero trovato la conferma della marina americana.  Inoltre, a detta di Nbc TV, l’esercito russo, già da qualche settimana, starebbe agendo in modo tale da offuscare il segnale di alcuni droni americani nel cielo sopra la Siria, sabotando le operazioni a stelle a strisce.

«Avete avviato una campagna di aggressione contro la Russia e contro la Siria, un Paese sovrano. State usando toni offensivi che vanno ben oltre quelli della Guerra Fredda. Non vi rendete conto fino a che livello di rischio state spingendo la situazione internazionale. Noi non vi chiediamo niente, noi non vogliamo essere vostri amici. Vogliamo solo delle relazioni civili, che voi disprezzate» ha stigmatizzato, ieri, sempre in sede di riunione del Consiglio di Sicurezza la rappresentante russa Vassily Nebenzia.

Ma, nonostante i forti contrasti, delle possibili reazioni da parte della Russia ad un attacco americano, l’ Ammiraglio Sanfelice Di Monteforte non appare convinto: “Non è detto perché io ho sempre più l’ impressione che nel Medioriente gli Stati Uniti e la Russia perseguano obiettivi simili, ovvero sventare la minaccia posta dalla galassia islamica. E’ probabile che condanni e non intervenga in quanto non ha alcun interesse a mettersi contro gli Stati Uniti, al di là della retorica verbale e delle tensioni che ci sono. Entrambi conducono una politica di contenziosi localizzati e di laissez-fare, evitando lo scontro aperto”.

A detta di molti esperti che si sono pronunciati nelle ultime ore, nella lista dei possibili obiettivi dei colpi americani in Siria, che dispone di diverse decine di Mig-23 e Mig-25 oltre che di Su-22 e Su-24., vi sarebbero senza dubbio le basi sospettate di ospitare armi chimiche: tra queste, la base militare di Al Dumayr, a est di Duma, da dove si sarebbero alzati in volo gli elicotteri Mil Mi-8 con l’ agente chimico sulla Ghouta o la base aerea Khmeimim, nel nord-ovest del Paese, considerata dal Pentagono la principale base di partenza di tutti i raid siriani se è vero che vi si trovano circa 40-50 di Su-34 e Su-35. Intorno a Khmeimim, così come nei pressi del porto di Tartus, sono schierate, almeno dal 2015, diverse batterie del sistema antimissilistico russo S-400, mentre attorno agli hub militari di Damasco sono collocate quelle di S-300.  La Russia, come se non bastasse, sul terreno, secondo le stime ufficiali del Ministero della Difesa moscovita, avrebbe ancora 3.000 uomini.

Tuttavia, nei giorni scorsi Donald Trump aveva annunciato il ritiro del contingente americano dislocato in Siria che, precisa l’ Ammiraglio, “è piccolo. Si tratta soprattutto di istruttori e forze speciali. La risposta massiccia dell’ anno scorso e anche quelle precedenti dell’ Amministrazione Obama sono state essenzialmente dello stesso tipo. E anche questa volta potrebbe esserci una risposta della stessa entità”.

Potrebbero essere impiegati altri mezzi oltre il Donald Cook? “Non credo che verrà utilizzato solo un cacciatorpediniere: se vuole fare un grande show, potrebbe affiancare anche delle portaerei, mettendo in campo un vero e proprio battlegroup. Dipende dalle intenzioni che ha il Presidente: quanto vuole “punire” Assad” prospetta l’ Ammiraglio San Felice di Monteforte. Lo schema, per sommi capi, dovrebbe essere quello applicato lo scorso anno quando, nella notte tra il 6 e il 7 aprile, due portaerei americane dislocate nel Mediterraneo hanno lanciato 59 missili Tomahawk contro la base di Al Shayrat, seconda base più grande della Siria, dalla quale era partito l’ attacco di tre giorni prima a Khan Sheikhoun, una città nella provincia occidentale di Idlib. Era stato effettuato mediante l’ uso del gas sarin che, come ricorda Frederic C. Hof,  nonresident senior fellow dell’ Atlantic Council’s Rafik Hariri Center per il Medioriente,  «era una delle sostanze che si presumeva consegnate dal regime in conformità con un accordo negoziato dalla Russia sulla scia della caduta della linea rossa del presidente degli Stati Uniti Barack Obama del 2013. Sebbene tale accordo abbia comportato la rimozione dalla Siria di grandi quantità di sostanze illegali, sembra non averla ottenuta». «È un interesse vitale degli Stati Uniti prevenire e fermare la diffusione e l’uso di armi chimiche mortali» erano state le parole del Presidente motivando l’ attacco.

Ma l’ attacco ‘punitivo’ potrebbe coinvolgere altri alleati? “Questo è da vedere perché c’è già una coalizione che coinvolge, ad esempio, anche l’ Italia che fornisce dei rifornitori in volo e degli aerei da ricognizione. Credo che basterà la coalizione attuale. Non credo che ci saranno delle varianti rispetto alle decisioni già prese dai vari Stati” spiega l’ Ammiraglio San Felice.

Nelle ultime ore, intanto, il ministro israeliano della Difesa Avigdor Liberman, prendendo la parola ad un evento sulle alture del Golan, secondo quanto riferisce Times of Israel, avrebbe riaffermato: «Non so cosa sia successo o chi abbia attaccato. Quello che so per certo è che non permetteremo all’Iran di stabilirsi in Siria, qualsiasi sia il costo. Non abbiamo scelta. Accettare un acquartieramento iraniano in Siria significa accettare un cappio attorno al collo. Non lo permetteremo». I piani militari dello Stato Ebraico, come illustrato dal quotidiano Haretz, sarebbero pronti. Della stessa opinione il capo di stato maggiore Gadi Eisenkot: «Non li lasceremo avvicinare al confine».

“Non credo” – ha aggiunto l’ Ammiraglio San Felice – “che Israele spinga verso un possibile conflitto contro la Siria. Israele segue una linea strategica ben determinata: andare più o meno d’ accordo con i sunniti e contenere l’ espansione sciita. Del resto Israele agisce in autodifesa perché non può permettersi di avere una Siria forte e dotata di armi chimiche”. Peraltro, già da oggi, le forze armate israeliane hanno schierato diverse batterie missilistiche ‘Iron Dome’ sulle alture del Golan, di fronte al confine con la Siria.

E gli altri alleati di Assad, oltre la Russia? La Turchia ha sempre i piedi in più staffe quindi gioca aiuta e non aiuta, mantenendosi a metà, e, tutto sommato, ha finito per diventare cinghia di collegamento tra Stati Uniti e Russia. Nemmeno l’ Iran ha interesse ad andare al di là di certe soglie”. Si rammenti che solo ad una settimana fa risale il vertice ad Ankara tra Erdogan, Putin e Rouhani.

Gli Stati Uniti sono alla ricerca di «una scusa per intervenire in Siria» ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, parlando oggi ai giornalisti al suo arrivo in Brasile, terza tappa del tour in Africa e America Latina, che lo ha portato Senegal e Mauritania e che si concluderà in Uruguay. «L’Iran denuncia l’uso di armi chimiche da o contro qualsiasi parte» ha proseguito Zarif, notando che «il recente attacco del regime sionista non è nulla di nuovo dal momento che ogni volta che i terroristi vengono sconfitti, Israele lancia un’operazione». Il ministro avrebbe inoltre detto che, sulla base di “informazioni autentiche”, gli Stati Uniti starebbero «trasferendo miliziani terroristi in altre aree per poter condurre attività destabilizzatrici anche in altri paesi» e che «l’adozione di tali politiche porterà conseguenze pericolose per la pace e la sicurezza nella regione e nel mondo intero». A supportare il regime di Damasco, potrebbe arrivare Ali Akbar Velayati, il principale consigliere per la politica estera della Guida Suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei.

Non bisogna tralasciare, infine, che questa è la prima vera crisi internazionale che l’ amministrazione Trump – che oggi ha tagliato fuori anche on l’annuncio delle dimissioni di Tom Bossert, consigliere per la sicurezza Interna – deve affrontare dopo l’ uscita di scena di Rex Tillerson, che dovrebbe essere sostituito alla Segretaria di Stato dall’ ex direttore della CIA, Mike Pompeo, e del generale H.R. McMaster, a cui è succeduto, come consigliere per la sicurezza nazionale, il ‘falco’ John Bolton. Quest’ultimo, ex ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, ampiamente noto per le sue forti opinioni, soprattutto su Iran e Corea del Nord, ha scritto in un tweet del 7 febbraio, che «non dovrebbe sorprendere nessuno che il governo siriano continui a sviluppare nuove armi chimiche. Il regime di Assad ha il record di uccidere la sua stessa gente e la comunità internazionale non ha fatto abbastanza per scoraggiare questo continuo comportamento».

«La già aumentata tensione nelle relazioni bilaterali russo-americane aumenta il rischio di escalation la prossima volta. Non sto dicendo che Mosca e Washington andranno alla guerra nucleare contro la Siria, ma posso immaginare una forte escalation nei combattimenti e il ricorso russo a armi più sofisticate. Dubito che capiamo come vengono sviluppate e decise le risposte politiche russe in Siria» aveva dichiarato tempo fa in una recente intervista Robert Ford, ultimo ambasciatore degli Stati Uniti in Siria, in servizio dal 2010 al 2014, che aveva poi aggiunto che a preoccuparlo, inoltre, «è che, a lungo termine, gli Stati Uniti non hanno una strategia di uscita chiaramente identificata dalla Siria». Nella medesima occasione, Ford aveva precisato che «Russia, Iran e Siria sono d’accordo sul fatto che l’obiettivo finale di sostenere quei governi in piedi – sia a Damasco che a Teheran o persino a Mosca – giustifica qualunque mezzo debba essere utilizzato. Non importa se si tratta di armi chimiche o di bombardamenti o di fame come tattica militare. I russi e gli iraniani potrebbero trovare alcune di queste tattiche “sgradevoli”, ma le accettano prontamente, così da ridurre l’influenza e la presenza americane in Iraq e in Siria».

Interpellato oggi, Robert Ford è tornato a mettere in risalto come l’ uso da parte delle armi chimiche da parte del regime di Assad sia ormai continuativo e che Trump debba esser «pronto per una campagna sostenuta. E deve spiegarlo al pubblico americano, e deve spiegarlo ai nostri alleati e agli altri paesi della regione laggiù». Campagna che – dice Ford – dovrebbe prevedere raid aerei ogni qualvolta viene superata la linea rossa perché il rischio sarebbe quello di commettere lo stesso errore dell’ amministrazione Obama.

In serata, il consiglio di sicurezza dell’ Onu ha respinto una bozza di risoluzione preparata dalla Russia, in cui si richiedeva l’avvio di un’inchiesta sulle armi chimiche in Siria. Ma Mosca ha posto, contestualmente, il veto su quella proposta dall’ Occidente.

La crisi è dunque tutt’ altro che conclusa.  Trump aveva già cancellato nel pomeriggio la sua partecipazione all’ ottavo summit delle Americhe a Lima restando «negli Usa per sovrintendere alla risposta americana». Come riferito dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), le forze armate siriane sono in allerta sin da questa mattina contro la minaccia di un attacco Usa verso obiettivo governativi. Similmente sarebbero in allerta anche le forze russe e iraniane presenti sul territorio della repubblica araba. E’ necessario, a questo punto, – ha auspicato  Mikhail Gorbaciov – che Vladimir Putin e Donald Trump si incontrino al più presto per evitare una nuova “crisi cubana”.  «Non credo che vi sia il rischio di un conflitto armato fra la Russia e gli Usa in Siria. Alla fine il buon senso dovrebbe prevalere sulla follia»avrebbe garantito Mikhail Bogdanov, vice ministro degli Esteri e inviato speciale di Putin in Medio Oriente.