«E’ probabile che gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita abbiano compiuto una sorta di sabotaggio»
«Il Pakistan non e’ stato all’altezza degli accordi e non sta cooperando alla costruzione del gasdotto» ha tuonato il ministro del Petrolio iraniano, Bijan Zangeneh contro Islamabad. In un’ intervista rilasciata all’agenzia di stampa “Irna”, il ministro ha messo in chiaro che la Repubblica Islamica ha completato la sua parte di gasdotto (circa 900 km) fino al confine con il Pakistan ed e’ pronto a dare avvio alle forniture di gas ad Islamabad che tuttavia rimane molto indietro nella costruzione del suo tratto di competenza (circa 700km).
«E’ probabile che gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita abbiano compiuto una sorta di sabotaggio» ha affermato il ministro del Petrolio iraniano che avrebbe poi avanzato l’ ipotesi secondo cui il Pakistan avrebbe ricevuto pressioni per impegnarsi in altre opzioni tra cui un gasdotto proposto dal Turkmenistan, il TAPI(Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India) con una capacità di trasferire fino a 33 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Maksat Babayev, vice primo ministro del Turkmenistan responsabile dei settori del carburante e dell’energia, avrebbe annunciato il considerevole investimento saudita nella costruzione della TAPI. Sempre secondoZangeneh vi sono difficoltà anche alla realizzazione del TAPI, un progetto in assoluta concorrenza – dice il politico iraniano – con quello da Teheran e appoggiato da Stati Uniti e Arabia Saudita: gli ostacoli rimanderebbero alle tensioni tra India e Pakistan.
A poco era servito l’ incontro tra il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif e il suo omologo pakistano Khawaja Muhammad Asifsvoltosi a margine del 7 ° Heart of Asia – Conferenza ministeriale sul processo di Istanbul del 1 ° dicembre.
Protagonista, dunque, il ‘gasdotto della pace’ che prevedeva inizialmente il passaggio attraverso il Pakistan fino all’India, ma quest’ultima si chiamò fuori dal progetto nel 2009 anche su pressione di Washington con cui era in procinto di siglare un’ intesa sul nucleare civile. Il progetto, del valore iniziale di 7 miliardi di dollari (5,4 miliardi di euro), risale al 1989, ha come scadenza ultima il dicembre 2018 ed ha suscitato sempre molte perplessità visto che prevedeva la collaborazione tra l’Iran e due Paesi storicamente in lotta cioè India e Pakistan. Il piano contemplava la realizzazione di una conduttura lunga 2.700 chilometri, capace di trasferire più di 20 milioni di metri cubi iniziali di gas giornalieri (per poi superare anche i 60) dai giacimenti iraniani della South Pars Special Economic Energy Zone (PZEEZ), attraverso il Golfo Persico, fino alle principali città pachistane come Nawabshah, Karachi e Multan, e da lì raggiungere Nuova Delhi. Nell’ ottica pachistana, la conduttura avrebbe contribuito per circa il 5% al PIL nazionale, creando 10.000 posti di lavoro durante la fase di costruzione e circa 3.000 in attività.
Era il marzo 2013, quando, al confine tra Iran e Pakistan, la bandiera iraniana e quella pakistana apparivano di fresca vernice dipinte su dei grandi tubi neri. L’ allora Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e l’ omologo pakistano Asif Ali Zardari inauguravano la targa che inaugura la fase finale della conduttura.
«La promozione dei legami economici fra Islamabad e New Delhi potrebbe migliorare i rapporti bilaterali tra le due nazioni, nonché la sicurezza regionale» aveva detto due anni fa Kamal Kharrazi, direttore del Consiglio strategico per le relazioni con l’estero di Teheran, che, nella stessa occasione, aveva ribadito la necessità per Teheran di rafforzare i legami con l’ India per “far fronte comune contro le pressioni straniere”. Nel giugno 2016, il ministro del Petrolio pachistano aveva annunciato che il completamento del gasdotto sarebbe stato raggiunto entro il 2018.
Ma le accuse di sabotaggio e rallentamento ‘volontario’ dei lavori ad Islamabad non giungono nuove. In numerose altre circostanze l’ Iran ha fatto presente alla controparte questo mal comportamento e quella, da par sua, aveva risposto dando la colpa alla poca fiducia degli investitori. «Continueremo a perseguire l’accordo attraverso canali legali, abbiamo speso miliardi di dollari nel progetto e le operazioni si sono bloccate. Tale atteggiamento è inaccettabile dai protocolli di commercio internazionale» questo uno dei tanti j’accuse del il ministro del Petrolio iraniano, Bijan Zangeneh. Anche il Presidente del Comitato per la sicurezza nazionale e la politica estera del Parlamento iraniano, Alaeddin Boroujerdi, aveva fatto presente il tema in un incontro con il presidente dell’Assemblea nazionale del Pakistan Sardar Ayaz Sadiq: «La sospensione del gasdotto della pace, che svolge un ruolo importante nello sviluppo della cooperazione in ambito energetico, non è giustificabile nella situazione attuale e speriamo che la parte pakistana intraprenda le azioni necessarie a tale riguardo».
E’ anche vero che la lavorazione del gasdotto della pace è divenuta per il Pakistan ‘la tela di Penelope’: ad influire su questo atteggiamento quasi ondivago, innanzitutto i politici al potere se si considera, ad esempio, la differenza tra la linea antioccidentale di Zardari e quella più moderata di Pervez Musharraf; e poi le pressioni più o meno forti degli Stati Uniti, nel complesso gioco con l’ India. Washington, dal canto suo, alternava proposte alternative come, appunto, la costruzione di un gasdotto che partisse dal Turkmenistan per arrivare in India, a vere e proprie minacce di sanzioni ad Islamabad qualora avesse portato a termine il progetto congiunto con Teheran, anch’ essa, a sua volta, colpita dal sanzioni. Senza dimenticare L’Iran and Libya sanctions act è una legge promossa dal senatore repubblicano Alphonse D’Amato efirmata da Clinton il 5 agosto 1996 che permette azioni sanzionatorie contro aziende straniere che investano più di 20 milioni di dollari l’anno nei settori del petrolio e del gas in Iran e Libia. Nel marzo 2005, il segretario di stato degli Stati Uniti Condoleezza Rice dichiarò all’NDTV indiana: «I nostri punti di vista sull’Iran sono molto noti a questo punto, e abbiamo comunicato al governo indiano le nostre preoccupazioni in merito cooperazione tra gasdotto tra Iran e India».
Dal canto suo, però, risorse scarse comportano scarsità di servizi, insoddisfazione della popolazione che inizia a criticare la classe dirigente. «Nessuna interferenza straniera sarà in grado di influenzare le nostre relazioni storiche e fraterne. Il gasdotto è un simbolo del Pakistan e l’indipendenza dell’Iran da quelle che mirano solo a umiliarci e a spezzarci via. Non puoi fare una bomba atomica con gas naturale. Coloro che si oppongono al gasdotto non hanno nessuna ragione per farlo; stanno semplicemente cercando di ostacolare i nostri progressi » aveva sostenuto solennemente Ahmedinejad. Il suo successore, Hassan Rouhani, tre anni dopo, aveva detto che «l’ Iran ha costruito questo gasdotto fino al confine con il Pakistan e siamo pronti a consegnare il gas al Pakistan alle nostre frontiere. Abbiamo quasi completato la nostra quota. Ora tocca al Pakistan iniziare il lavoro dalla sua parte». Aveva sostenuto, inoltre, che l’Iran vendeva già 1.000 MW di elettricità in Pakistan e aumenterebbe fino a 3.000 MW mentre il primo ministro pakistano Nawaz Sharif aveva reso inotoche il Pakistan e l’Iran hanno firmato un accordo per aumentare il volume degli scambi annuali tra i due paesi a $ 5 miliardi entro il 2021.
Ma l’ atteggiamento pachistano aveva portato Teheran a studiare un altro modo per rifornire l’ India. Nel 2016, il quotidiano indiano The Tribune, riportando delle dichiarazioni fornite in maniera riservata da un alto funzionario del governo, rivelò come l’Iran fosse pronto a firmare un accordo per la realizzazione di un gasdotto sottomarino in grado di collegare Teheran all’India: “Sì l’accordo per un gasdotto sottomarino Iran-India verrà fatto, tutto è diventato più semplice con il ritiro delle sanzioni imposte dagli Usa“, aveva affermato il funzionario. Infatti la rimozione delle sanzioni era stata disposta in seguito alla firma dell’ accordo sul nucleare iraniano (JCPOA) di Vienna l’ anno precedente. L’infrastruttura, capace di trasportare 31,5 milioni di metri cubi di gas, avrebbe dovuto avere una lunghezza pari a 1.400 chilometri ed un costo pari a 4,5 miliardi di dollari.
Per soddisfare la sua domanda di energia, nel 2015 Islamabad ha firmato un accordo per importare gas naturale liquefatto dal Qatar, il più grande produttore di GNL, per 15 anni rendendo molto meno attraente un gasdotto con l’Iran.
Mukthar Ahmad, consulente energetico del primo ministro pakistano, ha evidenziato che lo sviluppo del gasdotto è fondamentale per sostenere l’economia del Pakistan sviluppo e bisogni della popolazione. Dal canto loro gli Stati Uniti si potranno opporre all’ accordo: sono già stati cancellati i fondi americani per aiuti militari ad Islamabad perché considerata non attiva nel contrasto ai talebani dell’ Afghanistan. Del resto Teheran è di nuovo tornato in cima alla lista dei nemici dopo la decertificazione da parte di Donald Trump, molto più interessato a salvaguardare le alleanze con Arabia Saudita e Israele.
Ciò non toglie, come affermato dal Direttore dell’ Agenzia americana per lo sviluppo internazionale, Jerry Bisson, il Pakistan è un paese sovrano, e il progetto del gasdotto Iran-Pakistan – un investimento che è stato fondamentale per la popolazione e l’economia pakistana. Rispondendo a una domanda sul cambiamento delle priorità di investimento dell’USAID sotto l’amministrazione Trump, Bisson ha fatto riferimento al viaggio in Pakistan del Segretario di Stato Rex Tillerson, dove ha parlato di istruzione, assistenza sanitaria ed economia. Al gas iraniano, il Segretario di Stato aveva portato delle alternative.
ExxonMobil aveva espresso interesse per la costruzione di un terminale GNL a Port Qasim, ma su è recentemente ritirato dal progetto. Parlando di cooperazione nella tecnologia nucleare civile, Bisson ha dichiarato di non essere a conoscenza di tale opportunità, ma l’ USAID si è concentrata sull’energia rinnovabile poiché la tecnologia era semplice e poteva avviare la generazione di elettricità in 18 mesi. Inoltre Balochistan e Sindh sono centri molto ricchi di risorse energetiche rinnovabili. «Ci sono progetti di dighe di grandi dimensioni che potrebbero richiedere da 10 a 15 anni. Se guardiamo all’energia solare ed eolica pulita, è molto veloce e può facilmente attirare gli investimenti del settore privato» ha spiegato il capo dell’ USAID che ha poi precisato: «abbiamo versato 1 miliardo di dollari nel settore energetico sotto forma di sovvenzioni, non di prestiti, dal 2010 e la capacità produttiva è andata oltre i 3.000 megawatt a vantaggio di 36 milioni di pakistani». Inoltre – ha ricordato – la General Electric ha iniettato 240 milioni di dollari in 126 turbine nel Sindh e gli USA hanno finanziato i primi due progetti energetici del paese: Tarbela e Mangla, che erano le più grandi dighe del mondo.
Dunque, lo stretto legame del Pakistan con gli Stati Uniti potrebbe continuare a costituire il principale ostacolo alla realizzazione del Gasdotto della Pace. Il gasdotto potrebbe diminuire le storiche tensioni tra Pakistan e India, Paesi, peraltro, armati nuclearmente, e, oltre favorire l’ economia iraniana, potrebbe agevolare, le esportazioni della Cina, impegnata nel grande progetto delle Nuove Vie della Seta oltre che vede nei porti di Gwadar e Chabahar nel nord dell’Oceano Indiano hub strategici. Ma la Cina, sempre più vicina ad una Russia ai ferri corti con gli USA e in competizione in Asia anche in virtù delle dispute nelle acque del Mar Cinese Meridionale con un’ India, più vicina a Washington, è impegnata anche nel Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC) del valore di 62 miliardi di dollari, in cui l’ Iran, nell’ ottica del Dragone, non può rimanere escluso. Sarà dunque interessante vedere il proseguo di questa querelle che potrebbe trovare in Pechino un attore non secondario. E ancor più interessante sarà vedere come deciderà di muoversi l’ Amministrazione Trump che ha sempre denunciato la ‘ scorrettezza’ delle politiche economiche della Repubblica Popolare ed ha recentemente annunciato, in concomitanza con il Forum di Davos, nuovi dazi doganali sui prodotti cinesi e sudcoreani.