Quale destino attende il conflitto yemenita? E’ ancora possibile una mediazione?
Si è appreso nel pomeriggio dell’ uccisione dell’ ex Presidente Ali Abdullah Saleh. La notizia della tragica fine dell’ ex Presidente yemenita è stata rilanciata dall’ emittente ufficiale del movimento ribelle Houthi che ha diffuso un video che riprendeva il corpo esanime di Saleh, pochi minuti dopo il decesso.
Nel corso del fine settimana, sembrava di essere arrivati ad un punto di svolta del conflitto che da più di due anni affligge lo Yemen e che avrebbe causato, secondo le stime dell’ ONU, quasi 10 mila morti e circa 50mila feriti. Ad aumentare il bilancio disastroso di questa sciagura, l’ epidemia di colera che continua a mietere vittime, oltre, come se non bastasse, alla fame: Saleh aveva infatti annunciato di voler porre fine all’ alleanza con i ribelli, dicendosi disponibile a collaborare con la coalizione a guida saudita a patto che fossero interrotti i bombardamenti.
Va detto che l’ ex Presidente, che aveva governato lo Yemen per ben 33 anni, era stato deposto dagli Islahi, ossia i fratelli musulmani yemeniti, ed aveva stretto l’ alleanza con i ribelli Houthi, vicini ad Hezbollah, proprio nel tentativo di riappropriarsi del potere. Saleh era dunque ritornato ad essere l’ unica via percorribile per mettere fine alla crisi.
Come spiega la Eleonora Ardemagni, Saleh poteva far conto su una fitta rete di tribù e militari. Tra i suoi interlocutori privilegiati, il Generale Ali Mohsen al Ahmar, attore centrale della coalizione, vice presidente del governo Hadi.
Già la settimana scorso, si era assistito ad una serie di violenti scontri nella capitale Sana’a tra le milizie ribelli e le guardie personali di Saleh, a cui si erano poi aggiunti anche uomini vicini al Partito del leader yemenita, Al Mutammar.
Dopo l’ annuncio di Saleh, si pensava che le milizie Houthi potessero essere circoscritte nel più breve tempo possibile, facendo uscire il Paese dall’ isolamento. La risposta del leader dei ribelli Abdulmalik al Houti, dal canale al Masirah, era stata l’ appello affinché gli yemeniti non cedessero alle divisioni causate dal “tradimento” di Saleh. Lo stesso Abdulmalik al Houti, già alcune settimana fa, aveva accusato l’ormai ex alleato di volere portare avanti un “colpo di stato”.
Quale destino attende ora lo Yemen? Lo abbiamo chiesto ad Eleonora Ardemagni, ricercatrice associata dell’ ISPI, grande esperta di Yemen e della regione mediorientale nel suo complesso.
L’ emittente televisiva ufficiale del movimento ribelle yemenita Houthi ha annunciato la morte dell’ ex Presidente Ali Abdullah Saleh. Il network avrebbe diffuso un video in cui viene mostrato il corpo senza vita di quello che loro identificano come Saleh. Il Convoglio dell’ ex Presidente sarebbe stato intercettato e fermato mentre tentava di lasciare la città. Pensa si tratti di una vendetta da parte dei ribelli Houthi per il “tradimento” inflitto da Saleh?
Si tratta certamente di una vendetta degli Houthi visto che qualche giorno fa Saleh aveva rotto questa alleanza di interesse con i ribelli e si era dichiarato disponibile – tra l’ altro non era la prima volta che lo faceva – a dialogare con l’ Arabia Saudita. Qualche giorno fa il cambio di alleanza di Saleh e di tutto il suo cerchio di potere, quindi anche delle tribù che lo hanno sempre sostenuto, poteva aprire uno spiraglio per la mediazione, per l’uscita dello Yemen dalla guerra civile in quanto avrebbe potuto cambiare le carte sul tavolo. In questo momento direi che la guerra civile yemenita rischia un’ ulteriore peggioramento. Quindi la chance negoziale che avevamo visto qualche giorno fa con il cambio di alleanza di Saleh sfumerebbe e avremmo invece una situazione ancora più cupa. Infatti stiamo parlando di Sana’a: tutto si sta svolgendo nella capitale yemenita, feudo politico, militare ed economico di Saleh, della sua famiglia e del suo partito. Intorno a Sana’a vi sono le tribù che hanno sempre sostenuto Saleh che, in questo momento, fanno anche riferimento al Vicecomandante delle forze armate yemenite, Ali Mohsen al Ahmar, quindi un collegamento con il governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Ma dal momento che Saleh aveva cambiato alleanza, anche queste forze tribali tornavano con Saleh, con la sua famiglia e contro gli Houthi. Tutto sta accadendo a Sana’a, città con due milioni di abitanti e con un contesto urbano denso: dunque il rischio che gli scontri degenerino è fortissimo. Un’ altra dinamica che vorrei sottolineare: il rischio che a livello regionale la guerra in Yemen abbia un impatto ancora più forte di quello che ha avuto finora. Che cosa farà l’ Arabia Saudita? Cosa faranno gli Emirati? Sicuramente verrebbero a mancare le possibilità di mediazione che c’erano qualche giorno fa, bensì vedo il rischio di ulteriori vittime sul campo e di mosse a sorpresa sia da parte dell’ Arabia Saudita sia da parte di altri attori regionali.
Secondo diversi analisti, l’ alleanza tra i ribelli Houthi e Saleh già da tempo era andata deteriorandosi. Non giungeva dunque inaspettata la decisione dell’ ex Presidente?
Prima di tutto, l’ alleanza tra gli Houthi e Saleh è stata sempre di convenienza, mai ideologica. Non è mai stata l’ alleanza degli sciiti contro i sunniti, ma semplicemente un’ alleanza di interesse che Saleh aveva stretto per provare a recuperare il potere dopo la rivolta del 2011 e dopo le sue dimissioni. Certo negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un’ intensificarsi delle divergenze prima politiche poi, negli scontri, anche militari nel fronte dei ribelli, tra gli Houthi e le forze ancora fedeli a Saleh: in agosto ci furono già degli scontri con tre morti a Sana’a; ci furono due manifestazioni contrapposte tra gli Houthi e il partito di Saleh. Questo crescendo di incomprensioni ha poi portato ai fatti di questi ultimi giorni con l’ aumento della diffidenza reciproca tra questi due strani alleati e la denuncia da parte degli Houthi che Saleh cercava di trattare con l’ Arabia Saudita, con gli Emirati per arrivare ad un compromesso. Quindi certamente, sotto traccia, le rivalità si erano fortemente accresciute, ma dall’ inizio quest’ alleanza era di interesse reciproco, non un’ alleanza ideologica, fondata su valori comuni.
Secondo lei, la defezione di Saleh indebolisce il fronte sciita dei ribelli?
Sì. Il partito di Saleh, il suo gruppo di potere e le sue milizie tribali avevano fatto la differenza a favore degli Houthi. I ribelli erano riusciti ad occupare Sana’a, ad arrivare nella capitale già nell’ autunno del 2014, poi a portare a termine il golpe nel gennaio 2015 proprio grazie all’ aiuto di Saleh. Senza di lui non ci sarebbe stata da parte degli Houthi questa ascesa militare e politica. Poi non dimentichiamoci che Saleh, con un fortissimo seguito nell’ esercito yemenita, oggi spaccato, proprio nelle forze d’elite, la Guardia Repubblicana che è sempre stata un suo feudo, aveva in dote, a livello di arsenale militare, armi come i missili SCUD che sono stati ripetutamente lanciati e delle capacità che gli Houthi non avevano. Anche questo ha fatto la differenza, permettendo agli Houthi, giorno dopo giorno, di accrescere il livello della minaccia nei confronti dell’ Arabia Saudita, lungo il confine.
Quale linea sta seguendo e quale potrebbe seguire l’ Arabia Saudita con il suo nuovo Principe ereditario oltreché ministro della difesa, Mohammad Bin Salman?
Il nuovo Principe ereditario ha ribadito, anche in una recente intervista, che per lui l’ obiettivo è recuperare tutto lo Yemen: questo significa recuperare Sana’a, recuperare le terre del Nord, ossia quelle di origine degli Houthi. Quindi non credo che, dopo l’ uccisione di Saleh, l’ Arabia Saudita possa arrestare il suo intervento militare, anzi potremmo vedere un’ ulteriore escalation con un nuovo fronte che si compatta, formato dal governo internazionalmente riconosciuto di Hadi e dal Vicecomandante delle forze armate yemenite, Ali Mohsen al Ahmar, che ha forti contatti con le tribù e il gruppo di potere che faceva capo all’ ex Presidente Saleh, tutti contro gli Houthi.
Quale impatto potrebbe avere l’ uccisione di Saleh sulla rivalità, a livello regionale, tra Arabia Saudita e Iran?
Il conflitto yemenita nasce come un conflitto interno, un conflitto politico, tribale, per il potere, per le risorse. C’ è molto della contrapposizione tra Nord e Sud e tra regioni del Nord e regioni del Sud. Quindi la componente regionale è successiva. Il conflitto yemenita diventa anche un conflitto indiretto tra Arabia Saudita e Iran, ma in un secondo momento. Per i sauditi si tratta di una questione di sicurezza nazionale a causa del confine che hanno in comune: l’ interesse saudita è controllare lo Yemen, avere un governo amico in Yemen e questo significa essere sicuri dal punto di vista del confine. Per quel che riguarda l’ Iran, Teheran ha sicuramente dato ai ribelli appoggio politico, oltre che militare, sebbene sia inferiore a quello che viene denunciato dai sauditi: molte delle armi usate dagli Houthi contro i sauditi facevano già parte dell’ arsenale di quella parte dell’ esercito yemenita che è rimasta fedele a Saleh; poi vi sarebbero le componenti di missili che sarebbero entrate, aggirando l’ embargo, di chiara fabbricazione iraniana. Quindi c’ è stato un aiuto iraniano, ma non ha alterato i rapporti di forza nel senso che il grande vantaggio degli Houthi è stato l’ alleanza con Saleh. Vedremo cosa ne sarà di quelle armi, per esempio. La Guardia Repubblicana, fedele a Saleh, come già aveva iniziato a fare, aprirà un fronte di battaglia contro gli Houthi. Il problema sarà costituito da quelle armi che potrebbero essere trafugate. Ovviamente le due potenze regionali guarderanno con grande attenzione. Sinora per l’ Iran si è trattato di una guerra a costo zero dato che non vi è stato un coinvolgimento militare o economico simile alla presenza iraniana in Iraq o in Siria.
Con la dipartita di Saleh, come avvenuto progressivamente in questi mesi, vi sarà una maggiore attenzione al conflitto yemenita da parte della comunità internazionale?
Certamente l’ accresciuta attenzione nei confronti dell ‘Arabia Saudita e delle riforme del Principe Ereditario, oltre che dell’ accresciuta rivalità tra Ryad e Teheran, mi pare che abbia,anche se collateralmente, aumentato lo sguardo su ciò che sta avvenendo in Yemen, ma questo non ha creato un effetto pratico di maggior interesse verso l’uscita dalla crisi.
In sostanza, di qui in sostanza, la crisi è destinata a peggiorare?
Sì. Vedo tra l’altro uno scenario di guerriglia urbana a Sana’a, città densamente popolata, decisamente più grave di quanto si pensasse.