“Il presidente ha maturato la conclusione che non può certificare, nel quadro dell’accordo sul nucleare, che il sollevamento delle sanzioni introdotto è proporzionale ai benefici osservati in seguito a tale accordo” è l’annuncio che sta rimbalzato da diversi media americani.
«È giunto il momento per l’intero mondo di unirsi a noi nel chiedere che il governo dell’Iran ponga fine alla sua ricerca di morte e distruzione» è stata l’ anticipazione diffusa dalla Casa Bianca in mattinata. «Incorporeremo la Comunità internazionale a condannare le violente violazioni dei diritti umani da parte dell’IRGC e l’ingiusta detenzione di cittadini americani e di altri stranieri per accuse capziose» e «negare al regime iraniano tutti i percorsi per un’arma nucleare».
Donald Trump rinnova le accuse contro la Repubblica Islamica, rea, a detta del Presidente americano, di essere una delle principali fonti di destabilizzazione non solo su scala regionale, ma anche a livello mondiale: l’ appoggio al regime di Bashar al Assad nel contesto della guerra siriana, il sostegno al terrorismo, ma anche la rivalità con Israele e Arabia Saudita, le minacce cyber e alla navigazione nel Golfo Persico. Non ultimo, il progressivo riarmo dal punto di vista missilistico, di cui si è avuta dimostrazione non più tardi di due settimane fa, con il test del “Khorramshahr”, in occasione della ‘Settimana della Difesa Sacra’ in ricordo della guerra con l’Iraq degli anni Ottanta.
E’ stata dunque presentata dal Capo della Casa Bianca una sorta di road map per combattere l’ Iran. Sei i punti anticipati. Innanzitutto, per quanto riguarda il JCPOA, Trump non lo decertificherà. Come ribadito più volte, la Casa Bianca non rileva la violazione dell’ accordo, bensì il venir meno dello «spirito», proprio sulla scorta di quelle azioni anti-occidente che non favoriscono l’ armonia. La Repubblica islamica si sarebbe dunque profittata dell’ intesa con Washington per vedersi alleggerite le sanzioni che da quasi quattro decenni gravavano sulla sua economia e la isolavano dal mondo.
«La nuova strategia Usa per l’Iran punta a neutralizzare l’influenza destabilizzante del governo iraniano e a contenere la sua aggressione, in particolare il suo supporto per il terrorismo e i militanti». Un elemento affermato dal Comandante in capo è la lotta contro la Guardia repubblicana, alle dirette dipendenze della Guida Suprema e responsabile di numerose attività di squilibrio regionale. «Negare al regime iraniano, e specialmente al Corpo della guardia rivoluzionaria islamica, i fondi per le sue attività maligne, e per opporsi alle attività dell’Irgc che sottrae la ricchezza del popolo iraniano» ha annunciato il Presidente.
Come affermato da Mattis la settimana scorsa, la prospettiva non dovrebbe essere la decertificazione, o meglio, se anche ci fosse, non dovrebbe dare luogo alla re-imposizione delle sanzioni a Teheran. Ma sarebbe necessario, nell’ ottica di Trump, una revisione della legge da parte dei parlamentari americani. L’ auspicio di Trump sarebbe quello di inserire dispositivi automatici di imposizione delle sanzioni all’ Iran nel caso di violazione, magari allungando la durata dai 15 anni previsti all’ indeterminato. La palla, dunque, verrebbe passata al Congresso.
«La risposta della Repubblica Islamica iraniana, ai propositi di Trump, sarà con “misure appropriate”, per fare fronte a qualsiasi cambiamento nelle posizioni degli Stati Uniti». Sono state le parole del presidente del parlamento iraniano Ali Larijani che ha proseguito: «L’Iran ha programmato tutte le variabili riguardo quanto possa succedere all’accordo nucleare. Tra i responsabili iraniani non c’è nessuna preoccupazione riguardo a questa materia ed abbiamo approntato misure appropriate per fare fronte a tutte le eventualità». «Sembra che gli Stati Uniti abbiano iniziato movimenti che nel lungo periodo faranno venire meno l’ordine sullo scacchiere internazionale. La prova di questo sono le sanzioni, che hanno annunciato contro Iran e Russia, così come le misure che di recente hanno iniziato ad adottare in relazione all’intesa sul nucleare con l’Iran».
Dal canto suo, per quanto concerne la Cina, uno dei membri del formato 5+1, mediante il portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying, ha affermato che «crediamo che questa intesa sia importante per assicurare il regime di non proliferazione nucleare internazionale e la pace e la stabilità della regione. Speriamo che tutte le parti possano continuare a conservare e sviluppare questo accordo».
Una decertificazione, a detta del portavoce del Cremlino, Dmitri Peskiov, potrebbe «compromettere la prevedibilità, la sicurezza, la stabilità e la non proliferazione in tutto il mondo» e «peggiorare la situazione che riguarda il dossier nucleare iraniano».
A livello europeo, il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert ha reso noto che la Germania continuerà a rimanere parte integrante dell’ accordo in quanto «abbiamo un grande interesse nel proseguimento di questa unità internazionale» e se «un Paese importante come gli Stati Uniti arriva a una conclusione diversa, come sembra essere, lavoreremo ancora più duramente con gli altri partner per mantenere tale coesione». Stessa posizione era stata sostenuta dalla Premier Theresa May. Ma l’ accordo sarà oggetto, tra l’ altro, del Consiglio Affari Esteri che si terrà lunedì prossimo in Lussemburgo.
Sarebbe giunto, secondo quanto scritto sul Washington da Michael Gerson ex capo del gruppo degli speechwriter dell’amministrazione Bush, «il momento del panico e delle decisioni» e «non è più possibile ignorare le richieste d’aiuto che arrivano dall’interno dell’amministrazione Trump». Il battibecco con il senatore Bob Corker sarebbe sintomo, a detta di Gerson, «un presidente che ha esplosioni di rabbia contro nemici, ossessionato, profondamente disinformato e privo di interesse, incapace di concentrarsi e soggetto a crisi distruttive», il rischio, dunque, di una terza guerra mondiale. «Il tempo delle critiche sussurrate e delle risate trattenute è finito» chiosa Gerson sul Post, accusando molti repubblicani, tra cui lo Speaker Paul Ryan, di compiacenza con il Presidente.
Già due volte l’ Amministrazione Trump ha certificato il rispetto dell’ accordo da parte di Teheran. Ma questo non gli impedirebbe di ritirarsi dall’ intesa.
Circa la possibilità che l’ Iran possa uscire dall’ accordo qualora gli Stati Uniti si tirino indietro, “Certamente, è una possibilità”, ha detto il presidente del Parlamento di Teheran, Ali Larijani, rispondendo ai giornalisti.
«L’amministrazione Trump non ripeterà gli errori dei suoi predecessori», ha chiarito il documento di anticipazione della Casa Bianca che ha, inoltre, preso di mira Barack Obama, accusandolo di non aver considerato in maniera adeguata la questione nucleare, e George Bush Jr, colpevole di aver dato «priorità alla minaccia immediata delle organizzazioni estremiste sunnite rispetto alla minaccia a lungo termine della militanza sostenuta dall’Iran».
L’insofferenza nei confronti dell’ accordo non è nuova. Trump aveva dichiarato al Palazzo di Vetro in riferimento al JCPOA (Joint Comprehensive Plan Of Action), risalente al 14 luglio del 2015: «Francamente, è imbarazzante per gli Stati Uniti». Nella Repubblica Islamica, a detta del Presidente, sarebbe al potere una «dittatura corrotta», la cui principale vittima è il «popolo». Ad applaudire al duro intervento del tycoon, il Premier israeliano Benjamin Netanyahu il quale aveva avvertito: «l’ Iran sta sviluppando missili che minacciano il mondo intero: l’accordo sul nucleare iraniano va cambiato o respinto».
Il rinsaldato asse tra Washington e Gerusalemme è in diretta correlazione con l ‘atteggiamento di Trump. A questo si aggiunga l’ Arabia Saudita che sta tentando, in maniera sempre più pressante, di impedire all’ Iran di costituire una mezzaluna sciita in medioriente. Iran, responsabile secondo il Regno, dei disordini in Yemen.
Dal punto di vista iraniano, una linea dura americana potrebbe mettere in difficoltà il Presidente moderato Rohani e rafforzare le posizioni ultra-nazionaliste e anti-americane, il cui rappresentante è la guida suprema Ali Khamenei.
« Sapete, ragazzi, cosa rappresenta questo? E’ la calma prima della tempesta». Con queste parole il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, accanto alla first lady Melania, si era rivolto ai fotografi, in prima della cena con i vertici militari. «Potrebbe essere la calma prima della tempesta» ha ribadito ai giornalisti astanti. «Abbiamo i migliori militari del mondo in questa stanza» e «avremo un bella serata. Grazie di essere venuti» ha concluso lapidario. Ma sul significato di ‘tempesta’, regna il dubbio più assoluto, soprattutto dopo la risposta del Presidente «lo vedrete». Speriamo di non doverlo mai scoprire.