Fulco Lanchester, Professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, analizza la complessa situazione spagnola
«Non c’è mediazione possibile tra un governo democratico e l’ illegalità» e poi «abbiamo richiesto al governo della Generalitat di Catalogna di confermare se ha dichiarato l’indipendenza», «la risposta che Puigdemont darà segnerà il futuro dei fatti. Nelle sue mani è il ritorno alla legalità» è quanto ha sostenuto il premier spagnolo Mariano Rajoy, al Congresso, nel pomeriggio. «Da parte mia» – ha proseguito capo dell’ esecutivo – «sono stato sempre aperto al dialogo e ho sempre mostrato disposizione a capirci. Se avessero voluto collaborare non avrebbero dovuto convocare le elezioni nel 2012 ed il referendum».
Dunque, solo il chiarimento da parte del Presidente della Generalitad, Carles Puigdemont, di quanto è stato deciso ieri, determinerà gli eventi dei prossimi giorni circa la possibile applicazione da parte di Madrid dell’ articolo 155 che conferisce all’ esecutivo centrale capacità più incisive per riprendere il controllo della Catalogna, impedendone la scissione. Al termine del discorso di Puigdemont al Parlamento catalano, non c’è stato un voto dell’ aula, ma la firma di una dichiarazione d’ indipendenza “sospesa” onde evitare ulteriori tensioni. Il governo spagnolo, nell’ ottica di offrire «certezze ai cittadini», ha dato una scadenza alla Generalitad: 5 giorni (fino a lunedì prossimo), precisamente fino alle 6 del 16 ottobre. Fino alle 10 di giovedì 19, invece, il tempo per rettificare e non andare incontro all’ attivazione dell’ articolo 155.
Anche dall’ Europa, sostegno al governo di Madrid. «Una dichiarazione di indipendenza della Catalogna sarebbe illegale e non sarebbe riconosciuta», ha detto la portavoce di Angela Merkel, Ulrike Demmer a cui ha fatto eco anche un comunicato del Ministero degli Esteri francese: «Ogni dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte delle autorità catalane sarebbe illegale e non potrebbe in alcun caso essere riconosciuta. Continuiamo a essere preoccupati per la situazione in Catalogna, dopo le dichiarazioni di Carles Puigdemont» in quanto «ogni soluzione a questa crisi va trovata nel quadro costituzionale spagnolo. L’unità e la legalità costituzionale vanno rispettate e tutelate».
Per comprendere la complessa situazione spagnola, abbiamo chiesto a Fulco Lanchester, professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato e Direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma, oltre che membro dei comitati scientifici delle riviste “Quaderni costituzionali” , ”Rassegna parlamentare”, ”Revista de derecho constitucional europeo” e direttore responsabile della rivista “Nomos”.
L’ intervento al Parlamento catalano, nella serata di ieri, del Presidente della Generalitad, non è stato seguito, dopo il dibattito parlamentare, da un voto in aula, bensì dalla firma da parte di 72 parlamentari su 120 della ‘Declaración de los representantes de Catalunya’. Che valore ha questa dichiarazione? Un valore simbolico?
Il discorso di Rajoy e del rappresentante dei socialisti evidenziano la totale mancanza di basi giuridiche dell’ iniziativa catalana. L’ iniziativa catalana non solo non ha alcuna base giuridica, quindi è una forzatura che se riesce bene altrimenti vengono arrestati, ma si ricollegava ad un’ azione che circa ottantrè anni fa quando Companys, il predecessore di Puigdemont alla Presidenza della Generalitad catalana, aveva dichiarato l’ indipendenza della Catalogna all’ interno dello Stato federale spagnolo, che non esisteva per uno stato regionale, e venne arrestato dal governo centrale. Dopo la guerra civile, Companys si era ritirato in Francia e venne consegnato da Vichy nelle mani di Franco e venne poi fucilato. La situazione è molto chiara: è una forzatura basata sulla debolezza del governo centrale di Rajoy che è un governo di minoranza. Rajoy non ha vinto le elezioni, non è riuscito ad essere il primo partito. In questa fase, gli indipendentisti catalani hanno perseguito una strategia di rottura. Sia Rajoy che lo stesso sovrano non possono fare a meno di far notare che l’ articolo 2 della Costituzione spagnola, così come il nostro articolo 5, è strettamente collegato al riconoscimento delle autonomie. La Corte suprema spagnola ha bloccato il referendum e la Generalitad ha superato illegalmente questo divieto. Lo scontro è tra una forzatura extra-legale e un governo che chiede di mantenere l’ unità del Paese. Se poi nel 2012 o forse anche prima il governo centrale non sia riuscito a trattare e mantenere nei binari della legalità la Generalitad, è un altro discorso. Ma qui c’è una forzatura. Dal punto di vista costituzionale, non c’è alcun dubbio: la posizione degli indipendentisti catalani e del Presidente Puigdemont e della Generalitad ha superato i limiti della legge.
La cosiddetta “sospensione” era una logica conseguenza di questo contesto.
Sì. L’ articolo 2 della Costituzione impedisce che si possa pensare ad un referendum sull’ indipendenza e a modifiche dello status dell’ autonomia al di fuori della Costituzione ed è per questo che l’ ipotesi di utilizzazione dell’ articolo 155 è sempre più realistica. Anche perché il problema è: se una comunità autonoma non ottempera agli obblighi che la Costituzione e le altre leggi le impongono o attua delle posizioni che attentino gravemente all’ interesse generale della Spagna, il governo può chiedere, con la maggioranza assoluta del Senato, che rappresenta le autonomie, di adottare tutti i mezzi necessari per obbligare l’ autonomia a rientrare nei limiti della Costituzione. L’ articolo 155 della Costituzione è, in sostanza, un derivato del tecnico rapporto centro-periferia tedesco. Già nella Costituzione del 1871, poi a Weimar, poi nel Grundgesetz esiste la possibilità per il governo centrale, quando un’ unità federata e regionale ecceda le proprie competenze, di intervenire. In Spagna, credo sia la prima volta che viene applicato.
E’ molto chiaro che il governo spagnolo può garantire l’ ordine costituzionale all’ interno dell’ intero territorio con dei procedimenti con cui può ibernare, congelare, sciogliere le Costituzioni autonomiche che si contrappongono allo Stato centrale.
Alcuni hanno sostenuto che l’ esecutivo di Rajoy potrebbe attivare anche l’ articolo 116 che darebbe la possibilità al governo di Madrid di dare vita ad una sorta di ‘zona d’ eccezione’ per l’ area catalana ed intervenire in modo leggermente più pesante così da ripristinare l’ autorità centrale.
C’è una sorta di escalation. Dal dibattito che è stato portato avanti da Puigdemont subito dopo il referendum, c’è stata maggiore cautela dal punto di vista dello Stato centrale perché la leadership catalana, in realtà, sembra decisa in ogni caso a portare avanti la sua posizione, anche se tutti i Paesi, tutti gli ordinamenti dell’ Unione Europea, gli organismi internazionali come il Consiglio d’Europa e la Commissione di Venezia sostengono che, al di fuori delle sue competenze, Puigdemont stia rompendo l’ ordinamento costituzionale. L’ ordinamento spagnolo ha subìto negli anni ’20 una Guerra Civile, ma nel corso dell’ 800 le guerre carliste. Quindi la preoccupazione è molto forte perché se si supera un determinato livello, è pericoloso.
Nel suo discorso al Parlamento spagnolo, Rajoy ha dichiarato: «Nessuna costituzione europea riconosce il diritto all’ autodeterminazione» e «l’indipendenza della Catalogna è contraria a qualsiasi regola del diritto internazionale». E’ condivisibile?
La tesi che ha portato avanti Puigdemont si basa sul fatto che in Scozia, in Gran Bretagna, nel 2014, è stata data la possibilità di effettuare un referendum per l’ indipendenza. In realtà, Cameron implose con quel referendum e con il successivo sull’ Europa, dimostrando una debolezza della leadership inglese che si vede confermata dall’ atteggiamento della Premier May. Ma negli stessi regolamenti angloamericani, vi sono due esperienze che vorrei sottolineare: l’ esperienza canadese con i tentativi del Quebec che si ritiene, come la Catalogna, una nazione separata rispetto agli anglofili e la situazione britannica che ha un ordinamento di Common low, privo di una Costituzione scritta, di carattere documentale.
Negli anni ’90, precisamente nel 1996, la Corte Suprema canadese, con funzioni consultive nei confronti del governo centrale, venne investita di un quesito e cioè se fosse possibile un referendum per l’indipendenza delle province canadesi, in particolare del Quebec dove, dopo un periodo di tensioni nel 1981-82, c’ era stato, nei primi anni ’90, un referendum che era stato respinto dal corpo elettorale. La Corte Suprema canadese evidenziò che, per effettuare un referendum regolare e democratico, in ordinamenti che non sono ex-coloniali e questo lo dice anche l’ ONU, l’ autodeterminazione deve coinvolgere tutti i componenti dell’ ordinamento e quindi la maggioranza deve essere recuperata non solo nella regione che si vuole scindere, ma in tutto il territorio dello Stato, in tutto il Canada in quel caso. Ed è una delle tesi ripresa, anche se in maniera secondaria, dal governo centrale spagnolo perché dice che quel referendum è contrario alla Costituzione che ritiene l’ unità dell’ ordinamento imprescindibile. Il partito socialista ha proposto di “utilizzare il procedimento costituzionale. Solo con l’ articolo 2” – ha detto – “ potremmo arrivare ad una Catalogna che si scinde dalla Spagna”. Anche questo, secondo me, è impossibile senza una rottura di fatto dell’ ordinamento perché quell’ articolo 2 corrisponde ai nostri “principi fondamentali”. Questi ultimi vengono considerati dalle Corti Costituzionali come principi supremi. L’ articolo 5 non può essere cambiato senza modificare la forma di Stato, la forma di regime. Quindi l’ unità, in questo senso, dovrebbe essere garantita da un principio di eternità. Se salta la forma di Stato, se ne può ridiscutere. Ma la sostanza è che il governo catalano sta facendo un’ azione al di fuori della legalità.
Tant’ è vero che il governo Rajoy e Felipe VI hanno messo in evidenza l’ illegittimità e l’ impossibilità di discutere con chi ha deciso di rompere l’ unità nazionale e di non riconoscere gli organi legali dell’ ordinamento, ma questo, peraltro, anche i socialisti l’ hanno messo in evidenza. I catalani sono contrari all’ idea della solidarietà e della ridistribuzione. Sostengono “noi siamo l’ 8% della popolazione, diamo più di quel che riceviamo e non vogliamo più essere spagnoli”. A questo punto, però, possono farlo anche i lombardi, i veneti. Che ci sia una tensione di tipo centrifugo all’ interno degli ordinamenti europei poiché la moneta, ma anche la spada, siano sempre meno in mano alle organizzazioni centrali, o porta ad un salto verso una maggiore integrità europea oppure ad una moltiplicazione delle piccole parti.
In quest’ ottica, il governo di Madrid è recalcitrante ad un dialogo, considerato una ‘trappola’ dal quotidiano El Pais, con la Generalitad catalana.
Il Consiglio dei Ministri ha chiesto a Puigdemont “cosa hai affermato ieri? Hai dichiarato l’ indipendenza o hai semplicemente detto che se ne parlerà?”. Certificare quello che ha detto Puigdemont è chiaro. Egli ha ribadito che il referendum c’è stato, l’ indipendenza è stata decisa e, siccome ha dei problemi di maggioranza, non vuole essere soggetto all’ articolo 155 e per questo ritardo non l’ indipendenza, ma l’ applicazione della stessa ad una trattativa per arrivare allo stesso risultato. In questo senso si evidenzia che il gioco era molto prevedibile. Sia Rajoy sia il sovrano non hanno trattato prima. La differenza tra popolari e socialisti è ora questa: ‘ potremmo discutere una modifica della costituzione’ dicono i socialisti. Ma io sostengo che se si va dietro agli indipendentisti catalani si va contro i principi supremi dell’ ordinamento costituzionale del 1978. Indipendenza vuol dire fuoriuscita dallo Stato. Era meno tranchant la posizione del predecessore di Puigdemont, Companys, che disse che la Catalogna era uno Stato all’ interno dello Stato federale spagnolo. Qui, invece, si sostiene che è uno Stato indipendente.
Il nostro Gaspare Ambrosini che è stato docente universitario e Presidente della Corte Costituzionale, nel 1931, sulla base di uno studio della Costituzione repubblicana spagnola del ’31, dopo l’ allontanamento di Alfonso XIII, inventò la prospettiva dello ‘Stato regionale’ che, in Spagna, poteva anche divenire Stato federale. La differenza tra uno Stato unitario, uno Stato regionale ed uno Stato federale era una differenziazione di competenze più o meno larghe e di rapporti delle autorità centrali e locali con i cittadini. Una confederazione è fatta da Stati indipendenti e cioè un altro ordinamento. Ciò che prospetta Rajoy è il mantenimento del diritto costituzionale spagnolo. Ciò che vuole raggiungere Puigdemont è una trattativa di diritto internazionale pubblica: “noi trattiamo all’ interno dello Stato spagnolo con una mediazione internazionale”. Cosa inconcepibile e inammissibile per le forze politiche castigliane così come per le forze politiche catalane non indipendenti.
Quindi una revisione costituzionale, su cui concorda anche il partito socialista, in che direzione potrebbe andare?
Una revisione costituzionale può andare verso le maggiori competenze. I catalani si chiedono perché gli spagnoli non li trattano con i guanti. Ma, a ben vedere, il sistema autoconomico spagnolo è fatto di una serie di specialità differenziate a seconda della capacità di incisione dei singoli sistemi autonomici. Dunque, un sistema vasto che aveva dei problemi più incisivi di quanto non fossero quelli della Galizia o dell’ Andalusia ed era caratterizzato da un terrorismo. La discussione non è sulla trattativa di revisione costituzionale, ma sui limiti alla trattativa. La trattativa non può superare il limite dell’ unità nazionale. Il CUP, ad esempio, uno dei partiti che sostiene Puigdemont, è particolarmente scontento che non si sia attraversato il Rubicone. Quando le tendenze centrifughe superano un determinato livello, di fatto, si passa “dalle schede alle pallottole”. Nel 1921, un famoso costituzionalista inglese disse che la democrazia era caratterizzata “dalla sostituzione delle pallottole con le schede”. L’ altro giorno dicevo che in Spagna si stavano trasformando le schede in pallottole. Il governo centrale si è rivelato incapace di comunicare. Devo dire, invece, che il governo catalano ha avuto una forte capacità di comunicazione, anche attraverso i social network, sottolineando la volontà popolare. Però la democrazia è anche regole, procedure. E quel referendum, per quanto riguarda le procedure, il modo in cui è stato effettuato, è sembrato scarso, come ha sostenuto anche la Commissione di Venezia. In questo senso i mezzi di comunicazione di massa devono anche mettere in evidenza come la democrazia non sia solo passione, ma anche procedure di votazione, che eliminano il pericolo di “pallottole” e, anzi, le trasformano in “schede”. Queste procedure fanno la qualità di una democrazia. Nel discorso di Rajoy, che al momento rappresenta la difesa dell’ unità nazionale, o comunque della sua unità nazionale, ha ripetuto che questo referendum è stato indetto contro la Costituzione. E’ stato bloccato dal Tribunale costituzionale. E’ stato fatto in maniera che non fossero garantiti: non c’erano le schede, non c’erano le liste elettorali, non c’erano gli scrutatori. E’ vero che la Spagna ha cercato di impedirlo, ma ci sono delle regole. E’ stata sanzionata la Guardia Civil. Bisogna ringraziare Dio che sia successo molto poco. Si è detto che 800 persone sono state ferite. Non so se sono 800, ma è evidente che non ci sono stati morti. Diciamo che dalle schede si è passati alle “pallottole di gomma”, ma non si è arrivati a quelle di piombo.
Come ha sostenuto Puigdemont, c’è stata, nel corso delle varie modifiche allo Statuto catalano, un’ «umiliazione» del popolo catalano?
Rajoy ha detto: “Lo Stato spagnolo ha avuto delle difficoltà, ma anche la Catalogna ha avuto difficoltà”. Tutta l’ amministrazione è stata finanziata dal centro perché altrimenti andava in fallimento. Non solo la Spagna vive sulla Catalogna. Anche la Catalogna vive sullo Stato spagnolo. Si può dire che, in Spagna, i governanti centrali, prima socialisti poi del partito popolare, siano stati poco attenti sulla riforma dello statuto catalano. Ma, negli ultimi dieci anni, il governo spagnolo ha subito una delle più gravi crisi economiche che si siano mai viste in Europa. Ha vissuto un commissariamento con la Troika. Ha convissuto, in sostanza, con una forte disoccupazione giovanile. E’ una realtà che accomuna tutti i Paesi dell’ Europa mediterranea ed atlantica, se comprendiamo anche il Portogallo. Quindi la politica economica è decisa da qualcosa che supera la politica nazionale e poi ci sono tentativi di tipo centrifugo. Ma il problema è quello della solidarietà all’ interno dell’ ordinamento.
Ammesso che venga attivato l’ articolo 155, quale prospettiva si apre?
Il ceto politico spagnolo come il ceto politico europeo, in generale, vedono l’ emergere dei fenomeni di centrifugazione che non sono più partiti anti-sistema o fascisti o comunisti, ma che sono di tipo regionalista o indipendentista. Il problema è legato alla riduzione della capacità d’ incidenza dei partiti tradizionali, come si è visto in Austria, in Germania. Quindi c’è un tentativo di convergenza al centro. Ci vuole molta più responsabilità in un ordinamento, in un sistema come quello europeo, in cui la democrazia rappresentativa incida, in cui lo stato sociale incida. Si è visto, ad esempio, che il ceto politico si è bloccato e hanno cominciato ad agire alcuni elementi della classe dirigente, iniziando ad abbandonare la Catalogna: ad esempio, le grandi imprese, favorite dal governo centrale, hanno avuto paura a rimanere all’ interno di un ordinamento che non fosse stato più riconosciuto a livello europeo. Il meccanismo delle reazioni previste credo che risolverà molto più di quanto non potrà fare Rajoy.
D’ altro canto la monarchia cosa poteva fare quando, ai funerali per l’ attentato a Barcellona, è stato contestato? Ieri è stata dichiarata l’ indipendenza per la formazione di una Repubblica catalana e quindi è evidente che la monarchia, il simbolo dell’ unità spagnola, anche se i socialisti possono essere considerati non monarchici a tutti gli effetti, è stata garante negli ultimi quarant’anni del processo di consolidamento della democrazia. Ma quando si ricorda il comportamento più efficace di Juan Carlos durante il tentativo di colpo di stato di Tejero, bisognerebbe ricordare che c’era tutto il Parlamento in ostaggio e Juan Carlos, in quanto comandante supremo delle forze armate, ha iniziato a telefonare a tutti i generali a lui sottoposti, dicendogli che non si poteva fare. Qui la situazione è differente perché Felipe non viene solo attaccato sia come istituzione sia come persona, ma non ha capacità di autorevolezza per imporsi su persone che gli rimproverano di essere tra le cause di questa “rivoluzione”. Sono stati soprattutto i giornali italiani, collegandosi con la posizione di Puigdemont, ad affermare che non è stato “il re di tutti gli spagnoli”. Ma non poteva fare altro senza far scattare dei meccanismi di tipo nazionale o militarista. Se si comincia ad avere una posizione meno che decisa su queste regole, è difficile controllare gli elementi di tipo centrifugo sia quelli di tipo autoritario. Felipe ha ribadito la posizione favorevole allo stato di diritto e alla legalità, oltre che all’ unità del Paese. Non c’è altra via d’ uscita.
Da tutto questo, come ne escono il governo di Rajoy e quello di Puigdemont?
Il governo centrale è un governo di minoranza. Si dimostra che sia che ci siano governi di minoranza o governi stabili, la situazione non cambia molto in Europa. Alcune scelte sono già effettuate da altri, ad esempio dalla Commissione Europea o dalla Banca Centrale. Certamente questa debolezza del governo centrale è stata utilizzata dal governo catalano. Con ogni probabilità, sarà necessario un passaggio elettorale. Tutti ne hanno paura perché non si sa cosa possa succedere. Ma se la situazione diventa incandescente, è probabile che Rajoy possa anche raccogliere il frutto della sua posizione. Il leader di Podemos è stato molto critico, ma anche lui ha parlato di riforma della Costituzione. Le riforme, però, non possono oltrepassare i principi supremi. Inoltre, la Catalogna non è tutta indipendentista. L’ idea della maggioranza silenziosa è stata anche una ripresa del governo Rajoy che ha dietro di sé, non solo la Spagna, ma anche una parte sostanziosa della Catalogna. Si può dire, anche se non ci sono i numeri, che i 2 milioni che hanno scelto l’ indipendenza non sono la maggioranza dei 5 milioni.