Il viaggio in Russia del Segretario di Stato Parolin e l’ incontro tra con Putin, dopo quello con il numero due della Chiesa Ortodossa e il ministro Lavrov spiegato da Piero Schiavazzi

 

 

È avvenuto in questi giorni il viaggio del Segretario di Stato Parolin in Russia. Dopo quasi vent’anni dall’ ultimo viaggio di un Segretario di Stato nella terra degli Zar, Parolin ha fatto visita al numero due della Chiesa ortodossa, presso il monastero Danilovsy, con Hilarion di Volokolamsk, Presidente del Dipartimento per le Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, ricambiando la visita di quest’ultimo in Vaticano nel settembre dello scorso anno, che avveniva non molto tempo dopo lo storico incontro a l’Avana tra il Patriarca Kirill e Papa Francesco. Nel corso del colloquio, come detto dal Capo della diplomazia vaticana, «si sono potuti affrontare anche temi spinosi, ma sempre nella volontà di costruire e superare le difficoltà che ci sono. Ci sono tanti argomenti di cui discutere però direi che il clima è stato molto costruttivo».

Di certo, grande attenzione è stata rivolta alla crisi siriana, su cui tanto Parolin quanto Hilarion hanno concordemente affermato la priorità della lotta al terrorismo rispetto al futuro politico del Paese, e all’ angosciante situazione in cui versano i cristiani che vivono in Medioriente.

Altro tema spinoso, oggetto anche dell’incontro con il Ministro degli Esteri russo Lavrov, è l’Ucraina e la sua comunità greco-cattolica, in comunione con Roma. Lavrov ha ringraziato la Santa Sede per l’appoggio agli accordi di Minsk, per quanto concerne la cessazione del conflitto e ha evidenziato, inoltre, che tanto Mosca quanto Roma desiderano «il superamento di un approccio conflittuale in Ucraina e contrari all’ uso della religione per scopi politici». Poi l’ atteso incontro con Putin che si è detto «soddisfatto di come si stanno sviluppando le relazioni bilaterali»

Per fare un bilancio del viaggio di Parolin in Russia, abbiamo chiesto a Piero Schiavazzi, giornalista vaticanista dell’Huffington Postoltreché docente titolare della prima cattedra italiana di Geopolitica Vaticana presso l’ Università degli Studi Link Campus University ed in procinto di inaugurare una seconda cattedra presso l’ Università degli Studi di Cagliari.

Quale linea è stata adottata dal Vaticano, con Francesco, rispetto alle relazioni con la Russia?

Il Papa gioca la partita in prima persona. Poi a fare da battistrada e a copertura diplomatica, c’è la rete della diplomazia vaticana e il Cardinale Parolin, il quale, essendo, da un lato un grande conoscitore della Cina, in quanto se ne è occupato a lungo, e dall’ altra un discepolo di Casaroli e Silvestrin, che sono stati coloro che ai tempi dell’ Unione Sovietica battevano le vie dell’ est, ha dimestichezza anche con la Russia. Ce l’ ha  nel DNA. Non sto togliendo a Parolin questa formazione specifica che ha ricevuto lavorando da giovane con Silvestrin e Casaroli. Ma il Papa la gioca in proprio. Putin è un praticante del judo e al tempo stesso in Russia il gioco nazionale sono gli scacchi. Quella del Papa con Putin è una partita a scacchi. Probabilmente Putin, se non è l’ uomo più potente del mondo, è di sicuro nella terna dei più potenti, con Trump e Xi Jimping. Il problema di Putin è che ha l’ hard power, quindi ha un formidabile sistema spionistico ed è al comando di un’ armata, ha missili veri, ma gli manca il soft power. L’ esatto contrario del Vaticano, il quale abbonda di soft power e, come diceva Stalin, non ha le divisioni. Il principio del judo è quello di sfruttare a proprio vantaggio la forza dell’ avversario.

Questa partita è interessante, va avanti da un po’ di tempo ed è una partita di scacchi. Peraltro, Papa Francesco e Putin, nel settembre del 2013, a pochi mesi dall’ elezione al soglio pontificio, hanno avuto una sorta di folgorazione, si sono incontrati indirettamente sulla via di Damasco quando Obama era determinato a chiudere la partita con Assad dopo il primo episodio di  gassificazione e la portaerei del Mar Rosso era pronta a sparare i missili Tomawack su Damasco. Per neutralizzare non le bombe di Trump che sono state una prova di forza al mondo, ma quelle di Obama, deciso a chiudere con Assad. Il Papa fa un passo perché ritiene che destabilizzare la Siria sia pericoloso, con un anno di anticipo rispetto alla nascita dell’ Isis (29 giugno 2014) quando alza la bandiera nera su Raqqa e proclama lo Stato Islamico: scrive, sdoganandolo, a Putin il quale, in quei giorni, sta presiedendo il G20 a San Pietroburgo.

Parolin proviene dalla scuola di Silvestrin, romagnolo, e Casaroli, piacentino, entrambi provenienti dalla scuola del liscio. La diplomazia vaticana invece ballava il walzer. Il Vaticano, geopoliticamente, era una costola dell’ Occidente e, da costola, ogni tanto si concedeva dei giri di walzer con l’ Unione Sovietica e poi con Arafat nel 1982 quando Giovanni Paolo II lo riceve e per l’ America, per la CIA è uno dei più pericolosi terroristi internazionali e si arrabbia moltissimo Israele. Però poi gli americani sapevano che tornava: faceva dei giri di walzer ariosi, ampi e poi tornava nei ranghi. Questa mossa di scrivere a Putin che spiazza completamente la CIA, il Pentagono, il Dipartimento di Stato è una prima applicazione della geopolitica del tango. Il tango si fonda sugli abbracci asimmetrici. Quello con Putin è il primo abbraccio asimmetrico. Di lì a poco tempo arriverà quello con gli Ayatollah, con la richiesta all’ ONU della fine delle sanzioni contro l’ Iran. E adesso sta per arrivare quello con la Cina.

Putin, chiamato in causa, compra un pagina intera del New York Times dove pubblica un editoriale per dire all’America: “come dice il Pontefice, bisogna rispettare il diritto internazionale della sovranità degli Stati che stiamo violando”,  dimenticandoselo poi un anno dopo in Ucraina quando sarà lui stesso a violare il diritto internazionale.

A questo proposito, il Segretario di Stato Parolin ha detto al Ministro degli Esteri russo: “Noi non entriamo nelle questioni tra Stati, ma ricordiamo che bisogna rispettare il diritto internazionale”. Non dovete occupare la Crimea era il concetto. Il Vaticano non ha potuto non dire in maniera soft che hanno violato il diritto internazionale, anche se il Donbass, la Crimea, l’ Ucraina orientale, per Bergoglio, non sono una priorità. Ovviamente lui non può sacrificare l’ Ucraina, né dal punto di vista politico né dal punto di vista religioso, però rimane di certo il fatto che, se si dovesse domani votare in Conclave, non hanno un cardinale, essendo noi ormai al quarto concistoro di Papa Francesco. Perché fanno tanto arrabbiare i Russi gli Ucraini? Perché è il modo quello dei greco-cattolici orientali di transitare al cattolicesimo senza cambiare usi e costumi, mantenendo il proprio rito. E’ una sorta di corsia preferenziale per portare via la gente. E’ un po’ come quando scoppia la crisi ucraina, ossia quando nel 2013 l’ Ucraina vuole associarsi all’ Unione Europea e firmare un trattato di associazione che non è nient’ altro che un’ applicazione alla geopolitica e al diritto internazionale del principio del nominadismo: cioè vengo alle tue dipendenze, divento cattolico, ma mantengo i miei riti, quindi i preti si possono sposare anche se sono cattolici. Il trattato di associazione è la medesima cosa: senza osservare la castità che mi impone Bruxelles, mi associo all’ Unione Europea. Prendo i benefici, ma mantengo i miei riti. Se si va a vedere, i meccanismi che fanno arrabbiare Putin sono gli stessi che facevano arrabbiare gli Zar o Stalin.

Quindi come definirebbe l’approccio del Vaticano sulla questione Ucraina?

Quello che ha detto Parolin è stato il minimo sindacale. Non ha detto a Putin che sta occupando una parte di uno Stato. Ha detto che “non entriamo in questioni vostre, però ricordiamo che va rispettato il diritto internazionale”. L’ha detto in maniera soft per non essere poi oggetto degli strali degli Ucraini che non hanno molta simpatia per questo Papa. Però se si guarda alla differenza di intensità su altre questioni come per esempio la Siria e il Medioriente, l’approccio è molto simile al Venezuela: il Papa ha parlato tirato per le maniche. Un viaggio adesso in Colombia sarebbe stato inutile. Con quale credibilità si sarebbe presentato in Colombia a sostenere un governo che consente a ai leader delle FARC di candidarsi alle elezioni, nonostante questi siano responsabili degli omicidi di molti colombiani? Da una parte il Papa dovrebbe andare a sostenere di fronte alla gente che è giusto questo e dall’altra non dice nulla se Maduro impedisce anche alle persone perbene di presentarsi alle elezioni. Non sarebbe stato bene agli occhi di tutti coloro che credono allo Stato liberale in Sud America.

Dall’intensità di approccio era chiaro che lo scopo di questo viaggio era l’alleanza contro il terrorismo islamico, in difesa dei cristiani, punto di grande solidarietà tra Putin e il Papa, che nasce nel settembre del 2013, quando Bergoglio dà la prima prova di “realpolitik”, sollevando uno scudo stellare sui missili di Obama e coinvolgendo Putin nella difesa, appunto dei cristiani. Assad viene visto come difensore dei cristiani quindi uno Stato dittatoriale, ma laico. Questo è il primo tango con Putin. Perché Putin è interessato al Papa? Perché quest’ultimo ha il soft power. E perché il Papa è interessato a Putin? Perché Putin ha le divisioni armate. Perché Putin protegge i cristiani in Medioriente? Perché ha il problema dei mari caldi e spiega il ritorno della Russia nel Mediterraneo, in obbedienza ad un proprio interesse strategico, come faceva lo Zar nell’ ‘800 quando varcava il Dardanelli nel Bosforo e diceva che lo faceva per difendere i cristiani. In questo momento, però, la realpolitik russa coincide con l’interesse di Bergoglio che vuole avere un rapporto particolare con la Russia. Ecco il judo. Fare leva sulla forza dell’ altro. Ma è anche una partita a scacchi le cui mosse sono difficili perché Putin non può andare troppo verso il Papa in quanto c’è la Chiesa ortodossa e, viceversa, Bergoglio deve stare attentissimo perché ci sono i 5 milioni di ucraini.

Francesco la politica se la gioca nell’ incontro diretto: dopo la lettera a Putin del settembre 2013, Francesco incontra il 12 febbraio 2016 il Patriarca a l’Avana. Incontro, questo, che può definirsi una “Yalta religiosa”, ossia una spartizione, lottizzazione. Bergoglio, in quell’occasione, non rinuncia al proselitismo, a cui avevano già rinunciato Woytila e Ratzinger, ossia il tentativo di far diventare cattolici i non cattolici.

Cosa diversa è la nuova evangelizzazione ossia far diventare cristiani gli agnostici, quindi coloro che non credono. Quando cadde il Muro Gorbacev riammise le quattro diocesi, attraverso scuole e ospedali, cosa che la Russia considerò una ferita mortale. La competizione dunque agli occhi russi era un’ invasione, un gesto invasivo perché la Chiesa cattolica era molto più tonica dopo la fine del comunismo ad esempio in Polonia. Questo è il motivo per cui Giovanni Paolo II non andò mai in Russia perché era considerato il vincitore. Bergoglio invece si spoglia nella “Yalta religiosa”. Se si vanno a leggere le dichiarazioni del 12 febbraio del 2016, si legge che la Chiesa rinuncia anche ad evangelizzare. Francesco è fermamente convinto che non ha senso andare ad evangelizzare la Russia che si sta secolarizzando quando lì vi è la Chiesa ortodossa i cui vescovi sono fratelli discendenti dagli apostoli, rappresentanti di Cristo, come lo è lui. Per questo rinuncia non solo al proselitismo, ma anche all’ evangelizzazione. Parolin è andato a testare, a chiedere spazi, la restituzione di chiese per la minoranza già cattolica. Si è guardato bene dal dire “ ognuno di noi faccia la sua evangelizzazione”. L’ idea di Bergoglio è quella di riconoscere la zona di influenza della Chiesa ortodossa così come avveniva con i Paesi comunisti oltre-cortina dopo Yalta e l’America si asteneva dall’ entrare in merito. Questa è la resa unilaterale.

Rispetto al Medioriente, il Vaticano e la Russia rimangono sulla stessa linea d’onda come nel 2013?

Francesco è consapevole  che le grandi potenze si stanno spartendo il Medioriente. Trump aumenta il contingente in Afghanistan mentre la Russia rinuncia alla sua storica politica. Così come su Damasco c’è un passo indietro degli Stati Uniti.

Non è lontano, dal suo punto di vista, il viaggio del Papa in Russia?

È logico che invitare da parte del governo russo e del Patriarcato ortodosso il numero due del Vaticano non sarebbe stato possibile, altrimenti sarebbe stato uno sgarbo diplomatico, se all’ orizzonte non ci fosse l’ invito al numero uno. Nel fatto stesso che il Vaticano abbia accettato è implicito che non c’è una preclusione ad un futuro invito al Papa. Questa è una novità che intravedo in questo viaggio. C’è un meccanismo diplomatico che non può non essere rispettato. Se ci fosse una preclusione di principio sul Papa, non sarebbe potuto andare Parolin perché sarebbe stato un affronto alla Santa Sede. Il fatto stesso che abbiano fatto l’ invito ha abbattuto un muro. Dopodiché, per quanto riguarda le modalità con cui questo avverrà,  io penso che per una questione di orgoglio russo verrà prima Kirill qui. E’ come se fosse partita una clessidra con questo viaggio di Parolin. E’ stato un viaggio che non ha risolto niente.

In questa “alleanza” con Putin, influisce anche la mancanza di sintonia che il Vaticano registra con gli Stati Uniti?

No. Quello che influisce molto è l’attacco durissimo che “Civiltà Cattolica” ha fatto a giugno al fondamentalismo americano. “Civiltà Cattolica” non  ce l’ ha con Trump, ma con l’ America, con Obama, con la Clinton. Loro trovano che è fondamentalista l’America in quanto tale quando dice che “in God we trust”, quando si appropria della religione. Quello di cui Ratzinger era contentissimo, per Bergoglio è una iattura perché “in God we trust” dà un primato agli Stati Uniti e in qualche modo vincola il Vaticano a riconoscere agli Stati Uniti una sorta di missione cristiana.

Questo era, per certi versi, quello che avveniva durante la Guerra Fredda?

Esatto e preclude i contatti con la Cina e con la Russia. Per questo Bergoglio ha fatto uno strappo così radicale ed oggi abbiamo la percezione che il Vaticano sia più vicino al Cremlino che Washington. E’ l’idea di una civiltà cristiana che Bergoglio contesta. Nel comunismo di Bergoglio non ci credo. Egli è un Papa antioccidentale. Questo è un Papa del Sud, del meridione. Non è occidentale.

Quale ruolo ha, oggi, la Segreteria di Stato nella gestione della politica estera?

La politica estera vaticana non è un appannaggio della Segreteria di Stato sotto questo Pontificato. Parolin è il primo attore della politica estera vaticana dopo il Papa, ma ce ne sono degli altri: una è la Pontificia Accademia delle Scienze, dove è stato sdoganato nel gennaio 2014 l’Iran, e l‘altro è S. Egidio, oltre, ovviamente, ai consiglieri del Papa. La Segreteria di Stato si sta facendo obtorto collo una ragione del fatto che non è l’unica a determinare la politica estera del Vaticano. Si tratta di una politica estera polifonica, come avviene anche in altre grandi potenze, si pensi all’ America e in cui i canali ufficiali funzionano fino ad un certo punto. Il Papa va sull’ aereo e oltrepassa la sala stampa vaticana. Esterna, parla con i giornalisti e fa, alcune  volte, addirittura, magistero.