A worker turns a valve at the Shirawa oilfield, where oil was first pumped in Iraq in 1927, outside the northern city of Kirkuk 19 January 2004. The security of northern Iraq's oil infrastructure is improving but exports through the region's main pipeline are yet to resume following months of sabotage and general instability, officials said. In December, Iraq exported nearly 1.7 million bpd "through terminals in the south of the country," Iraq's interim Oil Minister Ibrahim Bahr al-Ulum said 19 January, emphasizing the search for new prospects, notably through the rehabilitation of the Kirkuk-Ceyhan pipeline. AFP PHOTO/Karim SAHIB (Photo credit should read KARIM SAHIB/AFP/Getty Images)

Come confermato dal Presidente della regione autonoma dell’Iraq, Masud Barzani, non ci sarà alcun rinvio né tanto meno cancellazione della consultazione popolare e la nuova Costituzione dell’Iraq prevederà per i curdi il diritto all’autodeterminazione. Come già storicamente documentato attraverso queste pagine, il popolo curdo si configura come diviso in gruppi facenti riferimento alle diverse Nazioni su cui si estende il territorio: quindi vi sono, tra i più cospicui a livello numerico, i Curdi della Turchia, quelli della Siria, quelli dell’ Iraq, quelli dell’ Iran.

Autodeterminarsi vuol dire sostanzialmente decidere del proprio futuro in relazione ai propri sentimenti e alle proprie risorse. Per far ciò, ai Curdi toccherà affrontare le reazioni della vicina Turchia, le pressioni dell’ Iran e, soprattutto, una netta contrapposizione all’ Iraq, oltreché le grandi divisioni interne, dato che il petrolio non è distribuito in maniera uniforme sul territorio del Kurdistan: questa circostanza, soprattutto in sede di unificazione, potrebbe dare più potere ad una fazione piuttosto che ad un’ altra, data la grande dipendenza dell’ economia dall’ esportazione di gas e greggio. Un’ economia che dovrebbe soddisfare le esigenze di circa sei milioni di persone e oltre un milione di rifugiati.

Alla base, rimane il problema del rapporto con Baghdad, dell’ esportazione dell’ ‘oro nero’ tramite il porto turco di Ceyhan e la produzione di greggio di Kirkuk, rendendo sempre più confusa la modalità di ripartizione dei ricavi tra Baghdad e Erbil. C’è poi da considerare la minaccia ISIS che, sebbene ridimensionata, continua a colpire anche gli impianti energetici iracheni.

L’attuale condizione precaria delle finanze curde rende necessaria una diversificazione dei mercati energetici curdi, non tralasciando nulla: in primis il dialogo con la Turchia che rimane un attore importante nel percorso di esportazione dell’ energia. Di qui la necessità che la tensione tra il Governo di Ankara e le comunità curde turche non superi una certa soglia, nonostante l’ intenzione di Erdogan di impedire, anche attraverso l’ uso della forza, ai Curdi di avvantaggiarsi delle sconfitte sul campo dell’ ISIS. L’economia curda ha subito un forte arresto a causa del declino dei prezzi del petrolio, della perdita di reddito per la chiusura temporanea dell’ oleodotto Kirkuk-Ceyhan oltreché gravi problemi di fronte alle società petrolifere operanti nel Kurdistan, come l’ Oil Gulf Keyston, e quindi un brusco calo del valore delle azioni. Il tutto ha reso sempre più difficile uscire dal pantano della crisi economica.

Lo sviluppo e l’esportazione di petrolio e gas, viaggiano in realtà contro qualsiasi mossa immediata per proclamare un indipendente Stato curdo nel nord dell’Iraq.In concreto, la linea di fondo è che la spesa del governo curdo supera le sue entrate effettive. Il Ministro delle Risorse Naturali Ashti Hawrami aveva dichiarato sul finire del 2015: «Abbiamo affrontato enormi disavanzi di bilancio nella prima metà di quest’anno perché abbiamo ricevuto solo circa 2 miliardi dollari del previsto 7 miliardi di dollari di reddito petrolifero [da Baghdad]. Dovevamo quindi vendere il nostro olio da soli. Non abbiamo potuto effettuare pagamenti circa 1,4 milioni di funzionari pubblici per tre o quattro mesi nella prima metà di quest’anno. Ma vendendo il nostro petrolio da noi stessi abbiamo guadagnato due volte di più. Ora siamo in condizioni relativamente migliori». Secondo alcune stime il Governo del Kurdistan dovrebbe esportare 600.000 barili al giorno al prezzo di 100 dollari al barile per pareggiare il suo bilancio. Ipotesi lontana dalla realtà in quanto anche durante i periodi migliori (tipo il 2015 quando Italia e Israele acquistavano petrolio curdo), il ricavato dalla vendita petrolifera non toccava nemmeno i 700 milioni.

Aumenta il debito pubblico e la spesa pubblica rimane bloccate. Come, del resto, è inevitabile, la situazione economica ha riflessi sulla politica e viceversa. Il passo spedito verso l’ indipendenza dovrà tener conto anche della composizione del governo regionale e quindi della formulazione di un piano di riforme e di trasparenza che possano evitare la catastrofe. Tale piano non potrà non contemplare la lotta alla corruzione che imperversa nell’ amministrazione. Tanto che il Capo del Comitato di integrità regionale del Kurdistan, Ahmed Anwar, ha dichiarato a tal proposito: «Tutti i partecipanti hanno convenuto che il pericolo di corruzione non è meno importante della minaccia del terrorismo. Se non fronteggiamo la corruzione, questa malattia potrebbe causare problemi maggiori». Tali controversie circa la corruzione hanno ricevuto nuova linfa dall’ intensificarsi della polarizzazione della politica del governo con la nuova unione Patriottica del Kurdistan-Movimento per il cambiamento (PUK-Gorran).

Si tratti di controllo del governo, e quindi patrocinio, Che per una reale riforma del KRI. Va notato che la corruzione è anche un importante Problema per Baghdad, con particolari ramificazioni Per quanto riguarda i rapporti con Erbil. Sugli approcci sud-occidentali a Kirkuk, minacciando aree controllate dalle forze Peshmerga. Le forze ISIS hanno danneggiato il campo petrolifero Khabbaz. Nel 2015 e potrebbe essere stato responsabile di un incendio Khabbaz il 5 aprile 2016. Una serie di assalti di ISIS Il 30 luglio 2016, ha brevemente messo il campo Bai Hassan, operato dalla federale (ma ora controllata da KRG) North Oil Company, fuori dall’azione, insieme ad una vicina Impianto di trasformazione del gas. La produzione è stata ripresa da Il 2 agosto inizialmente ad un tasso di circa 100.000 barili al giorno. Rispetto alla produzione pre-attacco di circa 170.000 barili al giorno.

E mentre sia Kirkuk stesso che la totalità del giacimento oleoso è attualmente sotto il controllo dei Peshmerga, non è probabile che qualsiasi governo che possa emergere a Baghdad voglia cambiare lo status quo, in particolare in caso di KRG indipendente. Baghdad continua a rivendicare sia la città che la maggior parte del campo petrolifero Kirkuk come legittimamente sotto la sua autorità. Nel Luglio 2016 è stato segnalato un importante sforzo. A nord, dove i combattenti PKK hanno istituito Basi di montagna da cui possono colpire in Turchia, il KRG affronta un problema che è diplomatico come militare. Il grosso del petrolio curdo, da sempre in mano alla fazione irachena, sarà certamente uno dei fattori decisivi dell’ esito del referendum prossimo. Va però anche detto che non solo l’ economia rende una Nazione forte, ma certamente contribuisce in maniera considerevole. La nascita di una sorta di stato cuscinetto tra il blocco sciita e il blocco sunnita, lo smembramento dell’ Iraq con tutte le conseguenze sul piano dei mercati petroliferi, potrebbe costituire un passo verso l’ uscita della crisi in cui versa da decenni il Medioriente?