«Non do mai un giudizio verso una persona, senza prima avere parlato con lui non lo devo fare. Nel parlare insieme io gli dirò cosa penso e lui mi dirà cosa pensa».Questa la risposta data da Papa Francesco, un paio di settimane fa, sul volo di ritorno dal pellegrinaggio al santuario di Fatima, alla domanda di un giornalista sull’ imminente incontro con Donald Trump. Per questa occasione, Roma è già blindata. Il Presidente americano incontrerà alle 8.30 di domani il pontefice. E questa è la terza tappa del primo viaggio estero del tycoon, il quale, dopo aver visitato l’ Arabia Saudita e Israele, giunge in Vaticano, incontrando la Guida della Cristianità, quasi a voler sancire l’ alleanza delle tre religioni monoteistiche contro «il male».

Come si è visto nel corso di questi anni di pontificato, il ruolo di Papa Francesco nello scenario politico internazionale non è mai stato secondario. Di grande spirito innovatore e così attento alle istanze dei meno ascoltati, il Papa argentino non ha suscitato però la simpatia unanime tanto del clero quanto dei fedeli americani. E’ vero, infatti, che molti fedeli cattolici, da sempre molto vicini al partito di destra, costituiscono la base elettorale che ha garantito la vittoria al candidato repubblicano alle elezioni di novembre. Volendo gettare ponti, sembra configurarsi come l’ anti – Trump per eccellenza, cioè come colui che rigetta le risposte semplicistiche, di chiusura ai problemi così importanti che caratterizzano questo momento storico. Proprio nel corso della campagna elettorale, all’ annuncio di Trump dell’ intenzione, qualora fosse stato eletto Presidente, di costruire un muro con il Messico, impedendo, in questo modo, l’ immigrazione, la risposta di Papa Francesco non si è fatta attendere: «chi costruisce muri non è cristiano».

«Pace, d’ora in poi, chiunque incontrerò, io parlerò di pace». Questo il monito di Papa Francesco, il quale ha aggiunto di non voler convincere nessuno, ma di voler ascoltare. A partire dallo stile, tutto sembra dividere le due figure. Proprio qualche giorno fa è stata annunciata la nomina di Calista Gingrich, moglie dell’ ex speaker repubblicano della Camera dei Rappresentanti, come Ambasciatrice americana presso la Santa Sede.

Quello di domani si preannuncia un momento storico in cui si confronteranno due leader mondiali, due campioni della comunicazione, due visioni diverse del mondo. E per comprendere meglio l’ importanza dell’ udienza privata di domani, abbiamo chiesto a Piero Schiavazzi, giornalista vaticanista dell’ Huffington Postoltreché docente titolare della prima cattedra italiana di Geopolitica Vaticana presso l’ Università degli Studi Link Campus University.

Quali sono state le direttrici della geopolitica di Papa Francesco in questi quattro anni?

Con una metafora, potremmo dire che Donald Trump balla il foxtrot perché lui è un uomo che si adatta alle danze, balla al tempo degli ospiti che lo accolgono, come ha fatto in Arabia Saudita, ballando la danza delle spade. Trump è un ballerino, è un uomo di mondo, del mondo, di questo mondo. Bergoglio non è di questo mondo e quindi si scontra. Bergoglio è l’ uomo del tango e la sua è la ‘geopolitica del tango’. Il tango risponde a tre regole rigide che lo fanno essere un ballo di scuola ‘gesuitica’: il tango si balla negli spazi stretti, quindi non è il walzer da sempre ballato, invece, dalla diplomazia vaticana, ad esempio con il Cremlino, con la ostpolitik, irrigidendo un po’ gli americani, ma poi rientrando e rassicurandoli, come quando nel walzer si riprende la dama. Quando ci sono gli spazi stretti, ecco la seconda regola: una volta fatto un passo non si può tornare indietro, mentre il walzer si caratterizza per la sua circolarità. Terza regola è che gli abbracci del tango sono asimmetrici: questo stupisce, ma al tempo stesso lo autorizza ad abbracciare interlocutori in un rapporto che non è da pari a pari, in attesa che il tempo faccia maturare delle condizioni.

Si pensi all’ abbraccio asimmetrico con gli ayatollah: è stato la diplomazia vaticana a chiedere, per prima, nel gennaio del 2014, lo sdoganamento dell’ Iran. In qualche modo quel gruppo di contratto 5+1 io l’ ho sempre definito 5+2 perché il Vaticano aveva avuto un ruolo importante, anticipando di un anno Obama.Fumo negli occhi per Trump che va a dire che riconosce solo i sunniti, quando dall’ altra parte del Golfo ci sono gli sciiti. Ma questo è un Papa sciita che, in qualche modo, è andato a recuperare il rapporto con l’ Egitto, mentre il mondo sunnita lo guardava con estremo sospetto. Per non parlare dei sospetti con cui lo guarda Israele.

Papa Francesco ha condannato l’ uso da parte degli USA del più grande ordigno non nucleare (MOAB) dicendo «Io mi sono vergognato quando ho sentito il nome di una bomba, la hanno chiamata ‘la madre di tutte le bombe. La mamma dà vita e questa dà morte, e noi diciamo mamma a quell’apparecchio» e poi ha continuato «Sta crescendo, è cresciuta e cresce tra noi una cultura della distruzione». Quanto sono divergenti le posizioni ed in che modo potrebbero influenzare l’ incontro di domani?

Bisogna tener presente che Trump si presenta con 100 miliardi di dollari di armi sottoscritti con l’ Arabia Saudita. Il Papa tuona quotidianamente contro la vendita e la fabbricazione di armi ed è come se Trump non avesse sentito. Quindi quello di domani è come un dialogo fra sordi perché il Papa dice di vergognarsi che si chiami madre una bomba e Trump, prima di andare in Vaticano, va in Arabia Saudita a firmare 100 miliardi di dollari di armi. Solo questa premessa ci dice molto. Però, al di là dei dati congiunturali che vorrebbero richiamare la nostra attenzione su questo tentativo, ai limiti della comicità, di quadrilatero che Trump vuole creare, di fondo c’è la visione semplificatrice del mondo del Presidente americano.

In cosa consiste?

Lui vuole creare un quadrilatero di fortezze per proteggere il XXI secolo dal terrorismo. In questo quadrilatero c’è l’ Islam, ricondotto ai sauditi, nemmeno ai sunniti, quasi in una visione cesaropapista, che identifica chi è più ricco e più forte un’ intera religione; Israele che, nonostante ci siano 13 milioni di ebrei nel mondo, rappresenta, sempre nella stessa logica cesaropapista del potere politico, nella figura di Netanyahu, l’ intera religione ebraica. Questa è agli occhi occidentali una semplificazione, ma per Trump diviene criterio geopolitico. Infine il Papa che, per lui, è prima di tutto un capo politico e poi un capo religioso. Come quarto pilastro di questo quadrilatero, si pone lui stesso  perché lui è il capo dell’ altra metà del Cristianesimo. Il cristianesimo sta vivendo una condizione di scisma culturale. Ci sono due cristianesimi: quello identitario di Trump e delle destre populiste e quello egualitario di Bergoglio e delle sinistre non meno populiste.

Questo G4 che il Presidente americano ha voluto creare sarà surclassato, domani, da un G2. Seguendo un paradosso meteorologico, il sole di Taormina sarà oscurato dall’ incontro di domani. Il miracolo che si compie in Vaticano è che il sole siciliano viene completamente oscurato: questi protagonisti che vanno ‘pirandellianamente’ in cerca di autore al G7 vengono oscurati completamente dall’ incontro dell’ anno, cioè quello di domani che tutto il mondo attende. Succederà qualcosa di analogo a quando la cerimonia del 25 marzo, per la celebrazione dei 60 anni dei Trattati di Roma è stata oscurata l’ incontro della sera prima, in Vaticano, dei 27 dell’ Europa ed è stata stravolta mediaticamente dal Papa a Milano che gli ha rubato la scena. Il mondo aspetta questo incontro.

Perché?

Sarebbe superficiale dire che i due protagonisti rappresentano due opposti assoluti perché si incontrano l’America più a destra di sempre e la Chiesa più a sinistra di sempre. Nemmeno Dan Brawn avrebbe immaginato qualcosa di simile. La storia supera di gran lunga la fantasia. Chi lo avrebbe mai detto che si sarebbero incontrati il Papa dei descamisados, il pescatore di uomini che recupera gli ultimi e il Presidente dei colletti bianchi, lo squalo che affoga quelli che non sono capaci di stare a galla. Questo è un confronto soggettivo, spettacolare, hollywodiano in cui si hanno due personalità così protagoniste che tengono a personalizzare il confronto stesso.

Ma di fondo, si tratta di un confronto oggettivo. Quello che rende questo incontro epocale, secolare e direi millenario, cioè con capacità di proiettare il suo riverbero non solo sul ventunesimo secolo, ma sul millennio è che queste due personalità incarnano due masse continentali, due masse geopolitiche che sono venute allo scontro e che sono la globalizzazione e la de-globalizzazione. Il Papa della globalizzazione e il Presidente della de-globalizzazione. Questa è la partita che investe il futuro perché, altrimenti, la spettacolarità dei due caratteri opposti, il Papa della Chiesa dei  poveri e il Presidente dell’ America dei ricchi, descrive due profili contingenti, legati al momento. L’ umanità è davanti ad un bivio ecco perché dico che è un incontro che si riverbera nell’ intero secolo e per certi aspetti nell’ intero millennio. Il bivio è tra globalizzazione e de-globalizzazione. La prima era un dato acquisito fino a pochi anni fa e oggi è tornata in ‘forse’: nessuno può sapere quale dei due fronti vincerà. E queste due personalità incarnano le due visioni in maniera polarizzata ed opposta.

Quello di domani può definirsi l’ incontro tra due ‘giganti del populismo’?

Sì ma di due populismi di segno opposto. Uno è un populismo di marca sudamericana mentre l’ altro di stampo sempre meridionale,ma nel senso della parte sud degli Stati Uniti. Trump, in realtà, attinge al bagaglio spirituale della fascia della Chiesa Evangelica. C’è un’ immagine che identifica i due populismi ed è quella dell’ inizio dei due mandati. Trump ha finito il suo discorso di inizio mandato il 20 gennaio benedicendo, divenendo una sorta di anti-Papa. E’ del tutto naturale, nella visione di un Presidente degli Stati Uniti, non concepire se stesso se non come credente, in una dimensione religiosa, come è stato del tutto naturale che Macron non abbia parlato di Dio alla Francia illuminista.

Trump ha addirittura benedetto dicendo «Dio vi benedica», facendo un salto in più. Il 13 marzo 2013, appena eletto, Bergoglio si inginocchia davanti al popolo e chiede di farsi mediatore tra quello e Dio, mentre Trump benedice direttamente il popolo. Lui ha fatto il Papa in quanto non si sente rappresentato come leader del cristianesimo mondiale da questo Papa. L’ ideale sarebbe per lui che diventasse Papa Pio XIII ossia Jude Law (della serie televisiva ‘The Young Pope’). Non è un caso che negli Stati Uniti il film di Sorrentino abbia superato, in termini di ascolti, House of Cards: perché risponde ai bisogni di un’ America che si sente tradita da Bergoglio, il quale ha riposizionato l’ asse del futuro verso est e verso sud. Per Bergoglio, il passaggio verso il futuro non sta a Nord Ovest, ma verso l’ Asia e verso l’ Africa. Ha riposizionato geopoliticamente la Santa Sede. Lo scisma culturale è in atto.

Anche all’ interno della realtà cattolica statunitense?

Bergoglio ha perso le primarie. Il 17 febbraio 2016, quando di lì a dieci giorni ci sarebbe stato il Super Tuesday, in cui si votava in più di dieci stati, Bergoglio ha lanciato quel missile politicamente scorretto verso l’ aereo che stava alzandosi in volo (Trump), entrando a gamba tesa nelle primarie dicendo che «chi fa muri non è un buon cristiano». Però buona parte di 70 milioni di cattolici americani, qualche giorno dopo, ha votato Trump. Lui si è esposto e ha perso le primarie. Trump, invece, le ha vinte. Il populismo di Trump è un populismo da anti-Papa che pontifica. Ne abbiamo avuto una dimostrazione in questo viaggio, dove si sta comportando da capo religioso, come moderatore delle tre religioni, in una tavola in cui lui decide i partecipanti,ad esempio inserendo i sunniti e non gli sciiti, privilegiando le visioni conservatrici.

Trump proviene da quella fascia degli Stati Uniti dove il suo populismo è un populismo disincarnato, cioè è il populismo delle Chiese verticali, ascetiche che non si intromettono mai dei problemi sociali. Non è un cristianesimo che vuole trasformare la società e in questo perfettamente compatibile con il capitalismo che, non a caso, finanzia la penetrazione in Sud America delle Chiese Evangeliche, che sono le Chiese che si concentrano sui problemi spirituali, sull’ interiorità e ti distolgono, mentre Bergolio è portatore di un populismo che vuole trasformare il sociale facendo appello alla religione come fattore di trasformazione della società. Trump è alla guida di un’ invasione da Nord a Sud America attraverso la Chiesa Evangelica e Bergoglio è a capo di un’ invasione dei latinos verso il Nord America. Agli occhi di Trump, Bergoglio rappresenta un esercito invasore che in termini demografici vuole ribaltare gli equilibri di forza.

Quindi, l’ incontro di domani avrà prima di tutto un risvolto politico?

Bergoglio non potrà non fare buon viso a cattivo gioco perché in ballo ci sono i 70 milioni di cattolici americani. Nelle gallerie celebri dei rapporti tra i Presidenti americani e i Papi, il feeling lo abbiamo tra Karol Woytila e Ronald Reagan che hanno combattuto una battaglia esterna comune contro il comunismo. L’ altra battaglia esterna contro il relativismo combattuta dalla coppia Ratzinger e Bush giovane. Ma quello di Trump non è il conservatorismo di Bush. La prima è una guerra politica mentre la seconda è di tipo culturale, ma entrambi esterne. La terza coppia che è formata da Obama e Bergoglio ha combattuto una guerra interna: entrambi hanno cercato di allargare la base delle rispettive società includendo quelli che stavano fuori, quello che potremmo dire ‘ l’Obamacare e il Bergogliocare’, estendendo, rispettivamente, dei farmaci salva-vita e dei farmaci spirituali agli esclusi. Entrambi hanno voluto rendere più inclusive le due società, la Chiesa e gli Stati Uniti. Trump ha cancellato tutto.

Se si rivede il telegramma inviato dal Papa a Trump nel giorno dell’ insediamento, le prime righe sono quelle convenzionali, redatte dalla Segreteria Di Stato, poi vi è un riferimento ad una parabola evangelica, inusuale per un telegramma di congratulazioni per la nomina che dice “con l’ augurio che ascolti i Lazzaro che stanno alla sua porta”. Se si legge la parabola, la più citata da Francesco, Lazzaro è povero alle porte del ricco epulone che banchetta, che andrà all’ inferno. Dire, in chiari termini evangelici, che è un ricco epulone è come dirgli vai all’ inferno. E’ il presagio di un impeachment davanti a Dio. Quindi al momento Trump ha due impeachment: quello politico e quello di Bergoglio.

Ma il Papa stesso è stato bersaglio di critiche, anche interne, fin dai primi momenti del suo pontificato.

C’è un equivoco di fondo. Era tale nel 2013 l’ avversione del cattolicesimo americano nei confronti di Vatileaks, di Bertone e dei 28 cardinali italiani che su 115 elettori si presentano come la maggioranza, in una visione provinciale e nepotista e in spregio della globalizzazione e della mondialità, che c’è stata la saldatura tra i due blocchi,nord e sud americano, per portare il Papa ultra-atlantico. Ma l’ equivoco è stato che i cardinali nordamericani che hanno eletto in maggioranza Bergoglio si sono portati in casa, quasi per una nemesi storica, un Papa anti-americano, perdendo con Ratzinger, il Papa più americano di sempre, della civil religion, mentre Bergoglio ha detto che bisogna superare il concetto di civiltà cristiana perché è penalizzante il dialogo con l’ India e con la Cina.

E’ possibile che Trump e Papa Francesco trovino un punto di contatto?

Sono troppo diversi. L’ illuminismo oggi si trova all’angolo e la lampadina dell’ illuminismo è spenta in cabina elettorale. Non possiamo ignorare che a Davos, mentre Trump inaugurava una presidenza contro la globalizzazione,  Xi Jinping e il cardinale Parolin difendevano la globalizzazione. Paradossalmente Francesco è più in sintonia con Pechino che con Trump, a cui va aggiunta l’ incompatibilità caratteriale. Come dice Padre Spadaro, Trump è Costantino cioè il teorico dell’ alleanza tra potere e religione lo ha dimostrato in questo viaggio. Bergoglio, invece, rompe l’ alleanza tra il potere e la Chiesa. Entrambi evitano le mediazioni. Il populismo respinge le mediazioni istituzionali che, però, in questo caso, potrebbero aiutare a dialogare. Ed è per questo che penso che non ci possano essere punti di contatto.