«Oggi il mondo sa bene che la nazione iraniana ha scelto il percorso dell’interazione con il mondo, senza violenze o estremismi. La nostra nazione vuole vivere in pace e in amicizia con il mondo. Al tempo stesso, non è disposta ad accettare minacce o umiliazioni».
Queste le parole con cui ha esordito nel suo primo discorso, Hassan Rouhani,dopo la vittoria delle elezioni che si sono tenute Venerdì 19 Maggio le elezioni per la Presidenza della Repubblica Islamica. Con un’affluenza di oltre il70% (41,2 milioni) su 56 milioni di aventi diritto, che ha costretto per ben due volte al rinvio della chiusura dei seggi, il ministro dell’Interno, Abdolreza Rahmani Fazli ha comunicato l’esito della tornata elettorale, che ha confermato quanto alcuni analisti avevano già anticipato: cioè la vittoria del Presidente uscente, cosa, peraltro, non insolita soprattutto se in occasione della conclusione del primo mandato. Fin dall’annuncio dei risultati preliminari, anche la reazione della Borsa di Teheran è stata positiva.
Quest’ultimo, infatti, 68 anni, ha conquistato 23,5 milioni di voti, ossia il 57%, battendo di misura il suo avversario, Ebrahim Raisi, che si è attestato al 38, 99% con 15,8 milioni di voti.
Alla Presidenza della teocrazia di Teheran è stato, dunque, riconfermato Rouhani, il candidato moderato, appoggiato dalle donne, dai giovani e che aveva avuto modo, nel corso del suo primo mandato, che si era appena concluso, di attuare quella linea riformista e di apertura verso l’Occidente che sembra essere stata premiata dagli elettori.
«Quello che vorrei è che Rouhani in questo nuovo corso possa avviare un processo di smantellamento per intero della rete terroristica dell’Iran, forza destabilizzatrice che agisce in questa regione, a partire dal suo finanziamento economico, al personale ed alla logistica. Speriamo anche che metta fine ai test di missili balistici e speriamo che egli ripristini tutti i diritti degli iraniani» ha detto il Segretario di Stato americano, Rex Tillerson, commentando la rielezione del Presidente iraniano. Lo stesso Presidente americano Trump, in occasione del suo viaggio in Arabia Saudita, ha accusato l’Iran di «sostenere il terrorismo e Assad» e successivamente, in visita in Israele al Presidente Rivlin, ha ribadito che «L’Iran deve smettere di addestrare e finanziare i gruppi terroristici e le milizie»
La politica del dialogo con l’Occidente aveva portato alla sottoscrizione dell’accordo sul nucleare con i 5+1 (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e Germania), cancellando le sanzioni economiche e rompendo quell’isolamento che imprigionava l’Iran da quasi quarant’anni. E’ anche vero che tutto questo ancora non si era tradotto in un netto miglioramento della condizione economica del Paese.
Su questa circostanza voleva fare leva il populismo del candidato conservatore, Ebrahim Raisi, sostenuto dalla guida suprema ayatollah Alì Khamenei oltreché dagli apparati (Pasdaran) , di tentare di convincere quei milioni di cittadini afflitti dalla crisi economica.
«Il vincitore delle elezioni è il popolo iraniano che, con l’Istituzione islamica, è riuscito a conquistare la fiducia di questa grande nazione, nonostante le trame e gli sforzi dei nemici» è stato il commento dell’ayatollah Khamenei all’indomani dell’elezione.
Sulla base di questi dati, la vittoria di misura di Rouhani è forse una buona speranza per il futuro? Lo chiediamo a Annalisa Perteghella, ricercatrice dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), esperta della politica della Repubblica Islamica oltre che delle relazioni internazionali nell’area mediorientale.
56% dei voti per Rouhani contro il 38% per Raisi con una grande affluenza (oltre il 70%) era un risultato scontato?
Molti analisti dicono che era scontato perché Rouhani era considerato il candidato ‘meno peggio’ tra i papabili. La mia personale opinione è che non era per niente scontato perché Rouhani è stato bersagliato nell’ ultimo mese di campagna elettorale proprio dai candidati più conservatori, più vicini a Khamenei, più vicini ai Guardiani della Rivoluzione, Pasdaran. Raisi non era molto conosciuto fino al marzo dell’anno scorso quando è stato nominato alla guida di questa potentissima fondazione che gestisce le entrate economiche del santuario Astan Quds Razavi, il principale santuario sciita iraniano, quindi una posizione di grande potere. Raisi aveva anche un passato molto controverso perché lui ha fatto carriera nel ramo giudiziario della Repubblica Islamica che è stato sempre in mano ai più conservatori e radicali ed è stato tra i componenti della cosiddetta ‘Commissione della morte’, colpevoli di aver mandato a morire centinaia e centinaia di oppositori politici. Questa è un parte del suo curriculum che lui ha cercato di cancellare negli mesi, con questa campagna elettorale in cui si è proposto come alternativa a Rouhani, come l’ unico che avrebbe potuto fare veramente gli interessi dell’Iran, al contrario di Rouhani che aveva svenduto il Paese con l’ accordo nucleare.
Si può dire che la linea dell’apertura, del dialogo con l’Occidente ha vinto sul nazionalismo e sulla chiusura e che c’è stato un netto rifiuto per un «ritorno al passato»?
Assolutamente sì. Questo mi sembra il dato principale di queste elezioni: il fatto che la maggioranza della popolazione iraniana abbia appoggiato l’accordo sul nucleare, ma anche tutto lo sforzo di apertura del sistema in un processo che è ancora in corso. Quindi popolazione iraniana ha voglia e ha bisogno di uscire da questa posizione di isolamento.
Anche perché gli effetti di questa apertura non sono ancora ben percepibili dalla popolazione.
Diciamo che è stata fatta la scelta di dare fiducia alla scommessa di Rouhani. E’ vero che dalla fine delle sanzioni economiche non ci sono stati quei benefici economici che erano stati ipotizzati, ma questo è dovuto non tanto ad una mancanza di volontà, ma ad un deficit strutturale dell’economia iraniana. C’è da dire che sui temi dell’economia, la proposta alternativa, quella dei conservatori, era invece quella di tornare a quella che Khamenei chiama «economia di resistenza», quindi alla chiusura, all’autosufficienza, ossia la politica attuata da Ahmadinejad negli anni del suo mandato, far salire l’inflazione alle stelle.
In questo senso, un risultato così importante rafforza il rieletto Presidente?
Da una parte sì perché è riuscito a conquistare più voti di quelli conquistati in occasione della prima elezione e quindi possiamo aspettarci un inizio di secondo mandato molto forte. Dall’altra, però, bisogna c’è da dire che Raisi, pur essendo poco conosciuto e pur avendo questa macchia importante nel suo passato, ha ottenuto un numero considerevole di voti e questo vuol dire che c’è ancora una certa polarizzazione e c’è una forte resistenza all’interno del regime da parte delle fazioni più conservatrici. C’è da aspettarsi, secondo me, nel corso di questo secondo mandato, una controffensiva da parte degli apparati, penso ad esempio agli apparati giudiziari che sono sempre stati in mano ai più conservatori che cercheranno in tutti i modi di mettere i bastoni tra le ruote a Rouhani.
Khamenei che vota
Come si articolerà ora il rapporto tra il Presidente Rouhani e la guida suprema ayatollah Alì Khamenei?
Questo è il tema principale perché Rouhani, che è un politico di lungo corso, sa benissimo muoversi all’interno del sistema. In Iran è possibile fare cose, ottenere dei risultati, se ci si muove all’interno del sistema, all’interno di quanto viene permesso dalla Guida Suprema. Dipenderà molto da quanto Rouhani rimarrà all’ interno di queste linee rosse e da quanto forzerà la mano. Secondo me non forzerà molto la mano perché sa di non avere poi tanto potere, come accadde con Khatami, la cui esperienza riformista si concluse grazie alla controffensiva dei conservatori e dei radicali. Per ora l’equilibrio politico è a favore di Rouhani, ma c’è l’incognita della Guida Suprema e l’incognita della successione alla Guida Suprema, che ci dirà poi veramente dove va l’Iran. E’ la prima carica dello Stato, il decisore ultimo perché non si muove foglia senza che la Guida Suprema lo sappia.
E il rapporto con i Pasdaran sarà un rapporto complicato?
Decisamente sì perché sono coloro che vogliono continuare a tenere un livello di tensione molto alto. Hanno grandi interessi economici nell’ industria militare e non solo perché c’è stata una penetrazione di Pasdaran nell’ economia dello Stato tale per cui oggi ci sono dei grandi conglomerati che fanno capo a Pasdaran, ma che si occupano anche di costruzione o di altri settori dell’ economia e questo è una delle principali sfide per la riapertura dell’ economia perché i Pasdaran non vogliono cedere.
Come va inteso il richiamo di Rouhani all’ ex Presidente Khatami? Vuole rimarcare questo senso di moderazione, di apertura?
Da una parte sì. Dall’ altra bisogna ricordare che eravamo in campagna elettorale e Rouhani aveva bisogno del voto dei riformisti, molti dei quali sono in carcere da dopo le proteste del 2009. Il movimento riformista non ha i propri leader e manca di linee politiche. Il grande successo di Rouhani è stato portare dalla propria parte i riformisti e creare questo grande fronte moderato e quindi gli appelli a Khatami e, viceversa, gli endorsement di Khatami verso Rouhani erano motivati dalla necessità di impedire la vittoria al fronte conservatore.
Oltre all’ accordo sul nucleare, ci sono stati altri fattori che hanno permesso a Rouhani di vincere?
Semplicemente, direi, il fatto di essere l’ alternativa migliore sulla piazza al momento. Il sistema politico iraniano è inaccessibile agli outsider nel senso che per potersi candidare alle elezioni bisogna superare una selezione del Consiglio dei Guardiani, che è questo organo che vigila e Rouhani è stato sicuramente il candidato con le credenziali più da moderato e più di apertura con l’ Occidente, che ha portato, ad esempio ad aprire al mondo di internet e dei social. Tutto questo avvicina soprattutto i giovani iraniani al resto del mondo da cui sono rimasti isolati negli anni scorsi. Quindi l’ accordo nucleare sicuramente, ma anche tutta questa apertura alla necessità del dialogo.
Trump vs Rouhani
In occasione del viaggio in Arabia Saudita, Trump ha accusato l’ Iran di aver seminato «morte e distruzione nella regione». Come prima ricordato, Rouhani è stato il fautore dell’ apertura, soprattutto con gli Stati Uniti, quando c’ era Barack Obama. Sarà in grado di mantenere aperto questo canale di comunicazione con l’ America anche con il Presidente Trump?
Il rischio di una degenerazione c’è ed è più che palpabile. Le dichiarazioni anti-iraniane fatte ieri da Trump e il fatto stesso di aver scelto Arabia Saudita ed Israele come destinazioni del suo primo viaggio all’ estero lanciano un chiaro messaggio. Il segnale di speranza che io vedo è che l’ Unione Europea e tutta una serie di altri paesi sono invece dalla parte dell’ Iran. Questo vuol dire che l’ America farà molta fatica a radunare attorno a sé una coalizione di paesi che vogliano isolare nuovamente l’ Iran, come è stato invece tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, quando l’ Iran era isolato con le sanzioni. Con Rouhani in carica,obiettivamente, l’ Unione Europea non ha motivo per scegliere di seguire l’ America e di non seguire paesi come la Russia o la Cina oppure l’ India.
Il discorso di Trump tirato già per la giacchetta da sauditi e israeliani, secondo me, sarà un cattivo segnale perché non farà altro che fomentare il caos in una regione che di dialogo, invece, ha molto bisogno. L’ accordo sta venendo rispettato e non ci sono segnali che l’ America voglia tornare indietro. Però dal punto di vista della retorica, Trump ha dato un segnale ben preciso. Quindi secondo me nei prossimi mesi ci possiamo aspettare altre sanzioni, provocazioni da parte statunitense. Tutto sta nel vedere come reagirà l’ Iran. Se Rouhani dovesse confermare la stessa squadra di diplomatici, l’Iran non reagirà e quindi il dialogo continuerà. Se invece l’ America dovesse forzare troppo la mano, la reazione iraniana potrebbe cambiare.
Questa dichiarata e rinsaldata alleanza tra Donald Trump e il mondo sunnita, che conseguenze potrebbe avere nell’ ambito dello scontro interno all’ islam, tra sunniti e sciiti?
Lo scontro tra sunniti e sciiti è uno scontro politico, è uno scontro di quei leader politici che vogliono strumentalizzare la religione, di orientamento sunnita o sciita, per fini politici. Trump darà ulteriore acqua al mulino proprio di questi leader perché mettere insieme l’ astio contro il terrorismo all’ astio anti-sciita di stampo sunnita non farà altro che gettare benzina sul fuoco e peggiorare la situazione. C’è da dire che Trump va in Arabia Saudita in quanto sede delle due principali città dell’ Islam sunnita, però l’ orientamento dell’ Arabia Saudita è wahabita, dal quale la maggioranza dei musulmani si dissocia perché ha prestato il fianco alla nascita dei movimenti più radicali come lo Stato Islamico. Quindi c’è molta miopia dal mio punto vista.
Il Re saudita Salman ha definito il regime iraniano come «la base del terrorismo globale». Come possiamo pensare che si svilupperà il rapporto con l’ Arabia Saudita e con gli altri Paesi dell’ area mediorientale nei prossimi quattro anni, soprattutto ora che si inizia a parlare di una NATO araba?
Da parte di Rouhani, nei mesi scorsi, ci sono state delle aperture, delle ricerche di dialogo nei confronti dell’ Arabia Saudita, che però sono state prontamente rispedite al mittente. Secondo me, in questo momento, l’ Iran è disponibile a dialogare con il suo competitor regionale che è l’ Arabia Saudita, ma io temo che quest’ ultima, ringalluzzita da questo rinnovato legame con gli Stati Uniti, respinga, ancora una volta, al mittente le richieste di disgelo e questo è deleterio perché, per risolvere le crisi regionali, ci sarebbe bisogno di maggior dialogo tra Iran e Arabia Saudita, che è poi la strategia messa in atto dall’ Unione Europea, da Federica Mogherini, la quale sta portando avanti una linea di dialogo tra le varie capitali regionali e Teheran, così da far arrivare questi Paesi che hanno interessi così diversi nella regione, a trovare una soluzione politica condivisa. Secondo me questo è il processo da appoggiare e non prendere una posizione, quella dell’ Arabia Saudita, escludendo l’ altra, quella iraniana, così da provocare reazioni violente come quelle che storicamente l’ Iran ha avuto quando è stato messo all’ angolo.
Trump in visita in Israele ha detto «Stati Uniti e Israele possono dichiarare con una sola voce che all’Iran non dovrà mai essere consentito di possedere l’arma nucleare, mai, mai e dovrà cessare di addestrare e finanziare gruppi terroristici e milizie, e cessare immediatamente». I rapporti con Israele potrebbero subire un miglioramento?
Israele è l’ altro vincitore del viaggio di Trump. Nei mesi precedenti l’ accordo sul nucleare, Netanyahu era andato al Congresso americano a chiedere che gli Stati Uniti non firmassero questo accordo. Israele è sempre stato avversario a questo accordo. Se c’è qualcuno contento oggi, oltre all’ Arabia Saudita, è proprio Israele.
Dunque, c’è da sperare bene con la rielezione di Rouhani?
C’è da sperare bene, ma c’è da sperare anche che gli attori regionali e internazionali agiscano con lungimiranza.