Come visto precedentemente, il progetto promosso da Mohammad Bin Salman Abdulaziz Al- Saud, Presidente del Consiglio per gli Affari Economici e Sviluppo, Vision 2030 costituisce il progetto che l’ Arabia Saudita vuole mettere in atto nei prossimi anni, slegando, progressivamente, la sua economia dal petrolio, che ad oggi costituisce circa l’80% delle entrate statali. Il piano prevede il raggiungimento di un’economia diversificata, innovativa, moderna, coinvolgendo ogni settore della società. Si prevedono politiche destinate alla crescita del settore privato interno, sia con la privatizzazione di società pubbliche di servizi come l’elettricità e l’acqua sia con misure a favore delle piccole e medie imprese, ma anche lo sviluppo delle energie rinnovabili, dei servizi finanziari, della tecnologia e del turismo, oltre che la riduzione del ruolo dello stato nel mercato del lavoro, con un regime di tassazione al minimo.
È sicuramente un obiettivo ambizioso, ma può essere raggiunto. Ad aprire le porte del Regno a questa rivoluzione, sarebbe l’intenzione dei sauditi di quotare in borsa, entro il 2018, il 5% della compagnia petrolifera nazionale, Saudi Aramco . Questa iniziativa, secondo le previsioni, potrebbe portare nelle casse di uno dei più importanti membri dell’ OPEC, un tesoro di 100-200 miliardi da destinare ad un fondo sovrano per investire sia all’interno che all’esterno del Paese.
Considerato il nuovo scenario internazionale comprendente un’America sempre più autosufficiente dal punto di vista energetico, un Iran che tenta di riprendere un posto considerevole nel mercato dell’oro nero, ma tenendo conto anche del debito pubblico interno aumentato negli ultimi anni e la tendenza decrescente del prodotto interno lordo, si tratta di una scelta coraggiosa, ma, forse, anche necessaria.
Di tutto questo parliamo con Jean-François Seznec, analista energetico del Medioriente ed economista della Georgetown University oltre che dell’ Atlantic Council’s Global Energy Center.
La compagnia nazionale saudita – di cui Riad conta di collocare in borsa il 5% forse il prossimo anno – avrebbe incaricato dell’audit delle riserve due diverse società indipendenti: la Gaffney, Cline & Associates e la DeGolyer & MacNaughton. Quale è, a suo parere, lo stato delle riserve petrolifere dell’ Arabia Saudita?
Le riserve di Arabia Saudita 268 miliardi di barili di riserve. Credo quindi sia un bene sapere qual è lo stato delle riserve.
Come valuta un’ ipotetica collocazione in borsa entro, secondo le previsioni, il 2018, del 5% della Saudi Aramco? Quali potrebbero essere i maggiori benefici di tale mossa?
Ci sono due o tre benefici: il primo non è di soldi, ma è in transparency. E’ molto importante per Saudi Aramco, che è ha un ottimo team managing. E molto importante diventare completamente trasparente. In modo che la gente di Arabia Saudita possano rendersi conto che questa è la loro società e non la società di famiglia reale, per esempio. Quindi, avendo una società trasparente, si può essere certi che possa crescere e svilupparsi e il paese continua a sviluppare per il popolo, non solo per persone le persone note. Ecco, questo è pronta una delle questioni principali perché oggi le tasse della famiglia reale in modo che solo molti soldi vengono dirottati in altre spese. Il saldo va allo Stato. Ma ora sarà trasparente. La gente sa e questo è importante perché, nel tempo, quando cercano di convincere la gente che c’è bisogno di altre tasse, si saprà dove vanno i soldi del petrolio nazionale.
Per essere quotata in borsa Saudi Aramco dovrà rivoluzionare la sua governance interna, slegandosi dalla monarchia. Ci potrebbero essere ostacoli a questo cambiamento?
Sì, ci sono alcuni gruppi all’interno della famiglia reale che non sono molto contenti di questo. Nella dirigenza, tra il re, principe ereditario, vice principe ereditario sanno che devono privatizzare Saudi Aramco e questo è in gran parte riconosciuto come un modo per fermare o limitare i privilegi della famiglia reale. Ci saranno sicuramente pressioni per fermare questo cambiamento, ma deve essere fatto: in questo modo la famiglia reale dovrà sempre più “mantenersi” da sola.
In questo senso l’ annunciato taglio dell’ aliquota fiscale per Saudi Aramco è un buon segno?
Significa le varie parti coinvolte saudite – lo stato, il fondo di investimento pubblico e la famiglia reale – stanno negoziando con l’idea di venire ad una soluzione . E ‘ positivo perché inizia a ridurre l’ intromissione della famiglia reale nella compagnia. In questo modo è possibile attrarre investitori e ottenere maggiori guadagni dalla quotazione.
Quali sono i paesi che dipendono maggiormente, allo stato di oggi, dal petrolio saudita?
Tre maggiori paesi: Cina, India e Stati Uniti.
Cina e Arabia Saudita hanno firmato in questi giorni 14 accordi di cooperazione bilaterale per un valore complessivo in grado di generare fino a 65 miliardi di dollari, molti dei quali nel settore energetico. Quale può essere, oggi, per l’ Arabia Saudita, la partnership più strategica, anche in vista del programma di diversificazione della sua economia “Vision 2030”? Quella storica con gli Usa o quella con la Cina?
Penso che i cinesi ed i sauditi siano d’accordo a lavorare insieme non dando nulla per scontato. Ciò significa che l’Arabia Saudita probabilmente svilupperà più operazioni in Cina e la Cina probabilmente porterà ulteriori investimenti anche in Arabia Saudita, come ad esempio nell’ energia solare. Può essere un interessante scambio tra l’Arabia Saudita e la Cina.Il rapporto storico con gli Stati Uniti è così grande che non può essere facilmente cambiare nel giro di una notte. Ma l’Arabia Saudita vuole allentare la sua dipendenza degli Stati Uniti espandendo il suo rapporto con la Cina. L’ ambito militare collega l’Arabia Saudita a Stati Uniti d’America, ma il rapporto economico con gli Stati Uniti può essere diversificato con la Cina e l’India, maggiormente la Cina in questo momento. Ma non potrà sostituire in breve tempo la storia partnership con gli USA.
C’è stato un tentativo da parte dell’ Arabia Saudita di indebolire la crescita di produzione petrolifera di USA e Iran? In che modo? E’ riuscito?
Non è l’ Iran la peggiore minaccia per l’ Arabia Saudita, ma lo Shale oil americano.
All’interno dell’OPEC, l’Arabia Saudita, a fronte dell’ eliminazione delle sanzioni all’Iran, mantiene sempre la sua supremazia?
Sì. Ci sono stati cambiamenti, ma solo nel senso che l’ Arabia Saudita ha dovuto fare i conti con l’ Iran che è tornato a produrre ad un certo livello.
Pochi giorni fa il presidente americano ha sbloccato i lavori per l’oleodotto Dakota Access e riparare la strada al progetto Keystone XL. Mossa fondamentale che permette di completare il progetto di autarchia energetica USA. Quanto ed in che modo, a suo parere, la politica energetica di Trump, comprendente una forte componente anti-ambientalista e di protezionismo, secondo lei, può essere influenzata da un segretario di stato, Rex Tillerson, ex ceo di Exxon Mobil? E quali conseguenze vi possono essere per il Regno?
Non ci sono conseguenze per il Regno, però diciamo che la presenza di Tillerson, un uomo pratico e competente nella materia, può essere più funzionale a capire la strada da intraprendere nel settore energetico. Non bisogna dimenticare l’ emergere anche del Canada come paese produttore di petrolio.
Sarà in grado l’ Arabia Saudita di differenziare la sua economia, sganciandosi dalla totale dipendenza dal petrolio attraverso il programma “Vision 2030” inaugurato dal vice erede al trono saudita, principe Salman Bin Abdel Aziz? Oltre alla collocazione azionaria di una piccola parte della Saudi Aramco, ha già intrapreso altre strade? Quali intraprenderà?
L’Arabia saudita deve diversificare la sua economia, ma il grande problema è il grande prezzo che deve pagare per diversificare. Dipende troppo dal petrolio e quindi deve farlo.
Quali sono le sue impressioni circa l’ incontro tra il cosiddetto “riformatore” ossia il principe saudita Salman e Donald Trump avvenuto in questi giorni?
Secondo me è la giusta chance per riformare il paese, chance che l’ Arabia Saudita non deve lasciarsi scappare.